mercoledì, Novembre 29, 2023

Vita angelica

Meditazione sulla preghiera a Gesù (1994), pp. 85-90

«Bios anghelicòs». Nella vita angelica, la vita contemplativa si associa alla vita attiva; gli angeli sono al servizio degli uomini nello stesso tempo che adorano Dio. Potremmo pensare a una vita contemplativa che ci separi dai nostri fratelli: non è così: gli angeli che contemplano incessantemente Dio sono gli stessi che ti guidano nella vita e ti conducono nelle vie del Signore.

La vita contemplativa nel Cristianesimo non separa dai fratelli, ma importa un superamento, un trascendere e abbracciare ogni cosa. Solo l’amore può realizzare questa vita. Noi vivremo la vita angelica se vivremo dinanzi al trono di Dio come rappresentanti dei nostri fratelli. Il fatto d’impegnarti per gli uomini non ti deve distogliere da Dio. La vita contemplativa non deve essere per te una dispensa dalla vita attiva, non può essere in nessun modo un pretesto perché tu ti senta meno impegnato nella salvezza degli uomini. Allora soltanto tu realizzerai il tuo ideale in modo perfetto quando, vivendo la tua vita contemplativa dinanzi a Dio, vivrai come colui che è a servizio di tutti i fratelli, e tutti li porta nel cuore davanti al Signore. È questa la vita angelica, l’ideale di vita che tu devi realizzare.

(…) È già difficile vivere una vita di preghiera continua: tanto più sarà difficile questa preghiera che dovrebbe consumare tutte le potenze del cuore e dell’anima, tutta la vita, mentre si compie poi la nostra missione all’ufficio, alla scuola, in casa, ecc. Dobbiamo vivere nel mondo, in nessun modo sottrarci al mondo, ma vivere nel mondo come testimoni dell’Invisibile, essere nel mondo come una rivelazione di Dio. Vivere nel mondo, in unione con tutti i fratelli, in un continuo rapporto con loro di amore, di servizio… eppure essere in mezzo a loro come un’apparizione del Cielo.

(…) Dobbiamo vivere in Cielo, anche quaggiù. Vivere in Cielo sarebbe facile se il Signore ci portasse fuori di questo mondo con la morte. Invece non dobbiamo morire, non dobbiamo sottrarci a questo mondo; dobbiamo rimanere quaggiù, e vivere un rapporto continuo con le cose, un servizio continuo ai nostri fratelli, ma vivere quaggiù una vita di pace, di beatitudine, di amore – essere quaggiù in qualche modo la sua luce.

Dobbiamo essere come angeli. Che cosa vuol dire essere come angeli per quel che riguarda il nostro rapporto con Dio? Per quel che riguarda il nostro rapporto con gli uomini? Essere angeli per il Signore vuol dire vivere in un totale oblìo di sé, come consumati nella presenza di Dio – colui che vede il Signore non può ricordarsi di sé. Un’anima che vede il Signore non può avere più conoscenza di sé: Dio la invade talmente che la cancella. L’anima non sente di aver più alcun valore, come non esistesse più… Umiltà totale di un’anima che è come sparita ai propri occhi, dimentica così di se stessa da non sapere più nulla di sé, da non poter più attrarre a sé alcuna creatura! Umiltà che non obbedisce più alla forza centripeta, che attrae a se stessi, ma alla legge di un amore centrifugo che totalmente si dà e non conserva più per sé alcuna cosa. Umiltà totale che s’identifica all’atto dell’adorazione. L’atto di adorazione perfetta non esige certo l’annientamento ontologico, ma quel puro annientamento psicologico della creatura che fa come se essa non fosse.

(…) E tuttavia questo non basta. Investito dalla grazia, trasformato nel Cristo tu vivi ancora nel mondo – tu hai ancora una missione da compiere, tu devi servire. Che cosa è l’angelo di Dio nel suo rapporto col mondo? Puro strumento della volontà divina. Dio per compiere i suoi disegni volle gli angeli: è per gli angeli che si compie quanto Dio vuole quaggiù. Che cosa vuol dire per noi non aver più una volontà propria? La volontà dell’uomo è a servizio esclusivo di Dio: l’uomo non vuole che la Sua volontà. Non ha più un suo disegno da compiere perché non ha più desiderio alcuno. L’uomo è attivo nei confronti delle creature, perché è puramente e totalmente passivo di fronte a Dio. L’angelo non riceve comando dalla creatura, non subisce l’azione dell’uomo: egli è totalmente passivo di fronte a Dio, sempre in ascolto della divina parola, sempre disponibile a Lui, sempre totalmente impegnato al compimento del divino volere.

Ecco quanto c’impone la vita religiosa: di essere come angeli, per vivere una vita che sia adorazione pura e universale servizio.

Un monachesimo interiorizzato “1” (1988)

«Noi siamo un monachesimo interiorizzato, non perché vogliamo essere meno monaci di chi vive nel monastero. (…) Dobbiamo vivere la vita di tutti come l’ha vissuta Gesù. Gesù si è chiuso in un monastero, in un’abbazia? No, è vissuto in mezzo agli uomini, ma nessuno è più santo di Lui. A noi Egli ha dato una vocazione che è simile alla sua più di quella degli altri monaci. Egli ci lascia in mezzo ai fratelli, ma in mezzo ai fratelli vuole che siamo sacramento di Lui, vivo e luminoso.

Ecco quello che la Comunità ci impone. Che il Signore ci doni di rispondere ad una vocazione tanto alta».

Esercizi a Vittorio Veneto (TV), 24-28 agosto 1988

Un monachesimo interiorizzato “2” (1988)

“In qualunque stato, in qualunque condizione di vita, in qualunque età e qualunque sia il sesso, noi dobbiamo vivere una spiritualità monastica, perché la Comunità è un movimento monastico. Si è detto fin dall’inizio che noi vogliamo realizzare un monachesimo interiorizzato, cioè vogliamo esser monaci nel mondo, senza la difesa della clausura, senza la difesa del silenzio e soprattutto senza il distacco dai nostri fratelli.

(…) Nel rispetto dunque dello stato di vita di ciascuno, noi dobbiamo vivere una spiritualità monastica. Non è qualche cosa che si aggiunge alla nostra vita, ma deve penetrarla dall’intimo e trasformarla, pur nel rispetto dello stato di vita di ciascuno”.

Esercizi a Zafferana Etnea (CT), 6-10 giugno 1988

Un monachesimo interiorizzato “3” (1988)

«Non crediate mai che il fatto di vivete nel mondo vi impegni ad una santità minore di quella che il Signore può chiedere ad una Carmelitana o a una Benedettina! Ci impegna alla medesima trasformazione, perché oggi si impone davvero che Gesù di nuovo venga e cammini nelle vie del mondo. Gli uomini non vanno più a Lui ed è il Cristo che deve andare a loro.

Ecco perché noi siamo nel mondo: non perché apparteniamo al mondo, ma perché il mondo ha bisogno di questa rivelazione del Signore; e ciascuno di noi lo deve essere».

Esercizi a Vittorio Veneto (TV), 24-28 agosto 1988

Un monachesimo interiorizzato “4” (1986)

«Guardate che io sono stato convertito, si può dire, da Dostoevskij: è stato lui a dirmi anche il tipo di vita che Dio voleva da me e da voi, il monachesimo interiorizzato nel mondo. Vi ricordate, ne I fratelli Karamazov, lo staretz Zosima che rimanda nel mondo Alëša? Ecco, se nella Comunità ci sono delle case di vita comune, sono per sorreggere, per alimentare coloro che devono vivere nel mondo e nel mondo devono vivere la stessa nostra vita: una vita monastica, cioè una ricerca di Dio, (…) una vita che afferma, anche nell’esercizio delle professioni sociali, il primato delle virtù teologali, il primato della preghiera, dell’unione con Dio».

Ritiro a Casa San Sergio, 19 gennaio 1986

Vivere come Gesù (1981)

«La cosa che si impone nella Comunità è questo: vivere il primato della contemplazione senza separarsi dal mondo, per vivere come Gesù, come sacramento di una Presenza divina tra gli uomini. (…) Questa vita contemplativa trasformi i nostri comportamenti e i nostri rapporti e si irradi al mondo e sia testimonianza viva di una presenza di Dio tra gli uomini e sia manifestazione della sua vita tra noi».

Ritiro del 29 gennaio 1981 a Bologna

Un monachesimo interiorizzato “7” (1988)

«È questo il monachesimo interiorizzato che dovrebbe essere la nostra vita. Monaci, sì, lo siamo, ma monaci senza clausura; monaci, sì, lo siamo, ma monaci che vivono in tutte le situazioni e condizioni di vita, purché però queste situazioni e condizioni di vita divengano per noi il sacramento di una divina Presenza, in tal modo che attraverso tutto e in tutto, noi viviamo la nostra donazione a Dio, la nostra unione con Lui».

Adunanza del 7 febbraio 1988 a Firenze

Un monachesimo interiorizzato “6” (1986)

«Il monachesimo interiorizzato, proprio della Comunità, è come quello di Gesù, monachesimo che rifugge da una separazione dai fratelli; tuttavia non vuole un’assimilazione con loro, perché il mondo è deserto da Dio e in esso Dio rimane sconosciuto. Invece, noi non siamo fatti a sua immagine e somiglianza, non siamo suoi figli? Allora questa immagine di Dio deve essere particolarmente risplendente e luminosa in noi… Siamo nel mondo perché gli uomini si accorgano di Dio, entrino in un certo rapporto con Dio, vengano a conoscere che Dio è: la nostra presenza deve suscitare la fede».

Ritiro a Casa San Sergio, 6 gennaio 1986

Un monachesimo interiorizzato “5” (1984)

«Penso che l’idea prima della Comunità mi sia venuta quando facevo il liceo leggendo I fratelli Karamazov, perché questo fu anche il libro che mi convertì al cristianesimo. Ve l’ho detto altre volte: volevo andare via dal seminario, perché mi dava noia quel cristianesimo vissuto spesso così stupidamente, tante volte così povero, così anemico come mi veniva insegnato.

L’impressione di quanto poteva essere grande il cristianesimo leggendo Dostoevskij, penso che abbia avuto la sua importanza anche per la nascita della Comunità, perché accennava ad un monachesimo vissuto nel mondo, dove dobbiamo essere testimoni di Dio, sacramento vivente della divina presenza»

Esercizi spirituali a Paestum, 18-22 giugno 1984

Monaci in un mondo che ci rifiuta (1984)

(…) Che cos’è il monachesimo? Ecco la prima cosa da domandarsi. È un movimento di vita spirituale che radicalizza le esigenze proprie di una vita di unione con Dio, radicalizza la vocazione cristiana, in quanto la vocazione cristiana prima di tutto importa non tanto una missione di salvezza nei confronti del mondo, quanto piuttosto il riconoscimento della nostra dignità filiale nei confronti di Dio. Di qui deriva il fatto che quel che soprattutto vogliamo noi della Comunità è attestare il primato di Dio, perciò il primato della preghiera, perciò il primato delle virtù teologali.

Tutto questo è proprio essenzialmente della spiritualità monastica. Il monaco è il testimone di Dio nel mondo. Altri invece, nella Chiesa, vivono soprattutto il rapporto con gli uomini nel servizio sociale, nel servizio di carità. Noi non escludiamo questo, intendiamoci, perché escludere la carità del prossimo vorrebbe dire non essere cristiani, dal momento che Gesù ha detto: «Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete l’un l’altro» (Gv 13, 35). Però l’amore del prossimo non immediatamente e necessariamente ci impegna a un servizio di carattere sociale e nemmeno alla carità attiva di per sé, perché se l’amore del prossimo necessariamente impegnasse a un servizio sociale e a una carità attiva, vorrebbe dire che la carità del prossimo finisce con la vita presente, perché in paradiso non c’è bisogno né di servizio sociale né di vita attiva. La carità del prossimo prima di tutto ci impegna a vivere l’unità dell’amore, ed è per questo che il monachesimo non solo ha vissuto il primato di Dio, ma ha vissuto questo primato di Dio nella realizzazione della comunità (…).

Un’altra cosa da notare è questa: il monachesimo di fatto radicalizza, cioè porta alle ultime conseguenze quella che è la spiritualità del Vangelo. Però dobbiamo anche dire che è il movimento religioso che, sotto certi aspetti, maggiormente si configura come movimento universale: ci sono monaci buddhisti, ci sono le confraternite dei Sufi nell’Islam; c’erano dei monaci anche prima del Cristo a Qumran; ci sono monaci anche in tante altre religioni e nell’Induismo stesso. Il monachesimo, dunque, è una esigenza universale dell’anima religiosa, la quale vive quaggiù nel mondo, ma vive nel mondo la sua vocazione escatologica, cioè la ricerca di Dio, la ricerca dall’Assoluto.

(…) Nel Cristianesimo, quando è nato veramente il monachesimo? Possiamo dire che è nato già al tempo degli apostoli; non il monachesimo ufficiale, ma quella vita religiosa che già era un monachesimo interiorizzato, perché era un monachesimo vissuto nel mondo. Notate bene la cosa importante: quando il Cristianesimo era combattuto dal mondo, quando il Cristianesimo era perseguitato, non era necessario andare nel deserto per vivere la ricerca di Dio. Allora si viveva questo spirito monastico da parte dei cristiani che, pur vivendo nel mondo, non erano del mondo e sentivano di non essere del mondo perché il mondo li perseguitava. Perciò vi era un monachesimo interiorizzato prima di quello istituzionale.

Quando è nato il monachesimo istituzionale? Quando il Cristianesimo e il mondo sono divenuti quasi una sola cosa: con la vittoria costantiniana, quando l’Impero Romano si è convertito al Cristianesimo, il Cristianesimo è diventato la religione di Stato e allora, per assicurare la radicalità di una ricerca di Dio, i veri cristiani hanno lasciato il mondo.

Ed ecco ora la cosa grande, grandissima: non c’è più necessità del monachesimo istituzionale perché oggi il mondo è contro il Cristianesimo. Il Cristianesimo ora è rigettato dal mondo; noi siamo oggi come all’epoca dei primi cristiani: il mondo non ci conosce più, ci rigetta, siamo degli emarginati nel mondo di oggi. Che bellezza! Questo è il vero Cristianesimo; come dobbiamo essere contenti! Ora infatti possiamo e dobbiamo vivere il monachesimo nel mondo, perché ora sentiamo di non essere del mondo. (…) Questo è importante per far capire come è necessario oggi che il cristiano si renda conto che non può essere veramente fedele al Cristianesimo che in quanto vive una spiritualità monastica. Mentre la spiritualità monastica in un mondo sacrale, come è stato il nostro fino a pochi decenni fa, esigeva che chi voleva vivere il monachesimo si separasse dal mondo per rifugiarsi nel deserto o in una abbazia e vivere nella povertà, nella castità e nell’obbedienza. Ora basta vivere il nostro Cristianesimo dove siamo, perché là rimaniamo sempre, non dico degli emarginati, ma degli isolati, e questo è bellissimo! Non è molto comodo, intendiamoci, ma è una cosa di bellezza estrema, ed è questo che dobbiamo vivere.

Adunanza a Firenze, 4 novembre 1984