La vita dei cristiani è una vita che deriva da una
sola sorgente, da un solo principio “quasi formale”; lo Spirito Santo che vive
in tutti noi perciò deve manifestare sempre più l’unità ontologica che è
propria dell’essere nostro. Lo Spirito Santo non soltanto unifica le potenze
dell’uomo, unifica gli uomini fra di loro in una Chiesa unica che è il corpo di
Cristo, ma questa unità che è di tutta la Chiesa deve rivelarsi nell’attività
sua propria. Se lo Spirito Santo ha creato una comunità cristiana, la comunità
cristiana ora deve manifestare questa unità.
Come? Nell’amore, in un amore fraterno che dona a
tutti gli stessi sentimenti, gli stessi pensieri, in un amore fraterno che fa
sì che l’amore dell’uno prevenga l’altro, sia un amore preveniente, un amore per
il quale ognuno è a servizio dell’altro. Sia dunque un amore vicendevole che si
traduce nell’umiltà, nella benignità, nella pazienza, un amore che mai opprime,
che mai possiede, ma invece si dona. Quando il dono è reciproco realizza
davvero l’unità, perché se io donassi soltanto senza ricevere, io mi perderei;
è vero che donando senza nulla ricevere, riceviamo sempre Dio; comunque non
ricevendo mai nulla dalla comunità non si creerebbe veramente l’unità tra i
fratelli, che si realizza nella misura in cui l’amore è reciproco; io mi dono e
l’altro ugualmente si dona e io vivo nell’altro e l’altro vive in me. Ma tutto
questo può avvenire a una condizione: che il nostro amore si incarni come
l’amore del Cristo nell’obbedienza, nell’umiltà, nella pazienza, che sono il
vero volto dell’amore cristiano.
Ecco perché nel capitolo XIII della Prima Lettera ai
Corinzi Paolo dice che la carità è benigna, è longanime, è paziente, che la
carità tutto sopporta, tutto spera; è una carità che non è mai vinta da alcuna
cosa perché mai nulla aspetta, perché non è mai una risposta all’amore
dell’altro; se fosse una risposta all’amore dell’altro sarebbe anche misurata
dall’amore dell’altro e dal valore dell’altro; invece è misurata soltanto da
Dio, che vive in te, dalla possibilità che dai a Dio di vivere in te.
Amore paziente, benigno, longanime, umile – come dice
san Pietro -, un amore che non risponde all’ingiuria con l’ingiuria, ma nemmeno
risponde con una benedizione alla benedizione dell’altro, perché l’amore che
previene è sempre un amore gratuito: io non amo perché l’altro mi ama, amo
perché amo come Dio, e proprio perché non aspetto nulla non può mai venire meno
il mio amore per l’altro e non può nemmeno esservi una reazione contraria
all’amore, se da parte dell’altro ricevo ingiuria. Come l’amore di Dio è una
pura effusione di luce senza fine verso tutti, noi siamo stati chiamati a
questo: a vivere l’eredità dei santi e l’eredità dei santi è Dio stesso. Dio
che vive nel tuo cuore e Dio altro non è che l’amore.
(…) Questa vita composta in unità e nella pace è una vita in cui è presente Dio stesso; gli occhi di Dio riposano così sopra il giusto ed Egli ascolta le loro preghiere, cioè la vita dell’uomo non è più una semplice vita umana, è già il segno, il sacramento di una presenza del Cristo fra gli uomini, perché là dove regna l’amore, là dove si stabilisce la pace, quivi Dio è presente: dov’è carità e amore, qui c’è Dio. L’insegnamento ultimo di questa catechesi sembra precisamente questo: una vita di pace, di serenità, di benevolenza è già il sacramento di una divina presenza; i cristiani, già in questa vita, realizzano e danno agli altri la testimonianza di una presenza di Dio ed essi stessi vivono in questa divina presenza la gioia di una intimità divina, la gioia di una comunione che trascende il tempo e le cose; anzi, in questa comunione con gli uomini, l’uomo comunica già con l’Assoluto, l’uomo comunica con Dio.
Commento alla Prima Lettera di Pietro, pp. 94-97