Facendoci conoscere l’uomo a immagine di Dio, la grande poesia ci fa conoscere in qualche modo anche Dio.
Pertanto ogni letteratura ha carattere sacro: nella parola vera dell’uomo, parla anche Dio.
Pensieri extra vaganti, n. 35
Facendoci conoscere l’uomo a immagine di Dio, la grande poesia ci fa conoscere in qualche modo anche Dio.
Pertanto ogni letteratura ha carattere sacro: nella parola vera dell’uomo, parla anche Dio.
Pensieri extra vaganti, n. 35
Ha ragione Dostoevskij. Il tuo amore deve abbracciare tutto: tutto l’universo: tutta la creazione deve esultare in te nella pienezza della Vita divina. L’estasi non strappa alla terra, ma eleva con te la terra, nella luce di Dio – la trasfigura in Dio.
Il Cristianesimo vero ha sempre rinnegato un ascetismo manicheo che veda nella rinunzia e nel rinnegamento il suo fine. Il cristiano non può rinunziare a nulla, tutto è suo – e tutto egli deve portare con sé, elevare con sé fino a Dio, nell’amore.
La fuga immobile (diario), p. 145, 8 novembre 1945
Mi sono convertito perché ho letto Dostoevskij, e se non leggevo Dostoevskij a quest’ora non ero prete, ve lo dico schiettamente. A quest’ora sarei stato scrittore, poeta, quello che volete, ma non prete. E forse nemmeno cristiano.
Adunanza a Firenze, 6 gennaio 1980
La parola non è esclusiva al linguaggio articolato: …anche il suono, che non è linguaggio articolato, è espressione di umana intelligenza, anzi di genio. Si pensi la musica; non si vorrà certo dire che Bach o Beethoven non ci parlino attraverso la musica. La musica è un linguaggio che ha un contenuto umano d’intelligibilità, è espressione di vita spirituale; tanti anzi dicono che la musica è l’espressione più alta, più vera del mondo spirituale umano.
Vorrebbe dire allora che, il linguaggio articolato non esprime fino in fondo il nostro mondo interiore.
Adunanza a Firenze, 1° dicembre 1968
Certo, la chiesa che raccoglie i fedeli per la lode di Dio, la chiesa dove ogni giorno viene celebrato il sacrificio del Cristo, è il luogo più santo che abbiamo in questo mondo. Ma dopo la chiesa, vi è un altro luogo che raccoglie nell’amore le anime che cercano Dio. È la biblioteca.
Non ho mai capito che importanza potesse avere per me la conoscenza di una dottrina nella quale io non vivevo. Per me il libro è la reliquia più insigne che può lasciare un uomo ai fratelli. Diversi secoli fa si combatteva per avere il possesso del corpo dei santi. Oggi questo amore per le reliquie è venuto assai meno e si spiega: difficilmente l’uomo può vivere in comunione con coloro che egli ama e che lo hanno sostenuto, sorretto, alimentato nel suo cammino di fede. Invece il libro non fa presente soltanto un corpo ormai morto, delle ossa inaridite che non hanno più vita: per me il libro è veramente il mezzo più efficace per entrare in comunione con coloro che nei libri ci rivelano le loro passioni, la loro volontà e rendono testimonianza della loro vita. Attraverso i libri io entro in comunione con coloro che hanno scritto. Non sono mai stato molto capace di dare grande importanza ai libri di scuola, ai libri di insegnamento. Il libro per me è il mezzo per il quale può ogni giorno di più realizzarsi una comunione fra chi scrive e chi legge. Una comunione che dilata l’anima, l’arricchisce ogni giorno di più.
Il libro ha un rapporto necessario con lo scrittore e stabilisce un rapporto con coloro che leggono. Così avviene nella biblioteca: un luogo sacro in cui l’uomo non apprende soltanto delle dottrine astratte ma vive in una comunione d’amore. Io sento che ho bisogno di questa comunione: che cosa sarebbe la mia vita senza Agostino, Teresa, senza i grandi filosofi, i grandi poeti? Quale dono più grande potrebbero farmi gli uomini più del dono della loro stessa esperienza, della loro stessa vita? Un libro non è soltanto per un insegnamento astratto: è la volontà di una comunione d’amore. Per me ho sempre pensato che un libro vero, prima di darmi delle nozioni, prima di arricchire la mia intelligenza, è uno scritto autobiografico, è il dono che ognuno fa di se stesso ai fratelli. Attraverso la lettura non vieni soltanto a conoscere una dottrina ma vieni a conoscere gli uomini che sono tuoi fratelli: la tua vita non può che essere questa comunione d’amore che i libri assicurano. È in qualche modo una certa anticipazione della vita del cielo quella che la lettura può stabilire. Il libro rimanda a un domani la fine di una vita nel tempo: io vivo in comunione con Agostino ma anche con i tragici greci, con Dostoevskij… Essi fanno parte di me. Quello che io debbo loro è una parte di me stesso. Ed è bello, ed è grande sentire così che noi possiamo superare la difficoltà dei luoghi e dei tempi, non solo per vivere una comunione d’amore, ma per vivere in questa comunione la vittoria su tutto quello che ci divide e ci fa stranieri gli uni agli altri. Certo, alcune volte non è facile che lo scrittore si doni con semplicità: ma chi lo cerca gli chiede una parola di vita. Ma le difficoltà reali che vi sono a questa comunione d’amore non fanno che rendere sempre più forte la volontà di cercare di penetrare il mistero della persona di colui che ti scrive. Lo scrittore è un tuo fratello: non puoi rompere certo un rapporto con lui, tanto più che quello che scrive vuole essere il dono che egli ti fa di se stesso. Se tu ricevi tanto dalla lettura di un autore devi ricordarti che anche l’autore ha bisogno di te, che sente il bisogno di amare. Sente anche il bisogno di sentirsi amato. Anche gli autori ricevono qualche cosa da te, un prolungamento della loro vita, un dilatarsi della loro esperienza, una più profonda conoscenza di quello che è l’uomo, ogni uomo. Tu vuoi vivere di loro, vuoi che la loro vita sia alimento alla tua: ma anche l’autore, nella misura che vive vuole ricevere da te la possibilità di vivere oltre la morte in coloro che accolgono il suo messaggio di amore.
Sì, una biblioteca è un luogo sacro: più grande è certo la comunione che l’uomo vive con Dio attraverso la preghiera, il Sacrificio eucaristico. Ma la biblioteca ci fa vivere più concretamente una comunione con i fratelli i quali, tutti, hanno da darci qualcosa, come a tutti tu vorresti donare te stesso. La perfezione ultima della carità dovrebbe essere proprio questa comunione universale, che ci fa tutti un solo Cristo.
Dio è l’uomo, Piemme 2001, pp. 183-185
Dicevo ieri all’Omelia che ho ricevuto da un eremita (Daniel Ange) un libro piuttosto singolare: [Dalla Trinità all’Eucarestia, poi pubblicato nel 1980 da Ancora], la contemplazione del Mistero della Trinità in due veglie di preghiera fatte dinanzi all’icona della Trinità del Rublev e che introducono l’anima nel Mistero della Santissima Trinità proprio attraverso questa medesima icona. Fino a qualche secolo fa il popolo cristiano meditava i misteri della nostra religione contemplandoli nell’arte dei musei o negli affreschi di cui erano letteralmente piene le pareti del tempio: la ‘Bibbia dei poveri’ si chiamava allora, ma qualche volta è una Bibbia più sapiente, più ricca, più viva dei nostri commenti della Scrittura, che poi d’altra parte non raggiungono più tutto il popolo cristiano, perché oggi si compra la Bibbia o i commenti della Sacra Scrittura… e chi li legge? In realtà la visione di una pittura, di un affresco, di una tavola è non solo infinitamente più facile, ma può offrirsi in un modo più semplice a tutti i cristiani, ed è veramente grave che nella nostra Chiesa cattolica l’arte sia divenuta soltanto un fatto di decorazione, di ricchezza; la ricchezza non è mai un fatto religioso.
L’arte puramente decorativa distrugge l’arte sacra, sia architettura, scultura o pittura. Non nego che vi siano grandissimi pittori italiani; nego che dopo un certo periodo della storia, questa pittura o scultura o architettura sia sacra: è una scultura e una pittura che dovrà essere portata fuori di chiesa. Bisogna dare tutta questa pittura allo Stato perché se la conservi, perché in realtà questa pittura distrae; è cosa antireligiosa e antisacrale.
Ma l’arte non è stata sempre così; si è detto che per tanti secoli è stata invece lo strumento più universale di formazione, di educazione religiosa per il popolo e lo è ancora nella Chiesa orientale e nella Chiesa ortodossa. Noi abbiamo una grandissima e ricchissima, ma non in senso vero, arte sacra, fino forse a tutto il secolo XIV, e anche forse XV, almeno una parte. Invece di meditare solo gli scritti di santa Teresa o di san Giovanni della Croce o di sant’Ignazio di Loyola o di san Francesco, sarebbe molto importante che noi meditassimo la pittura per esempio di Giotto, di Cimabue, forse anche di Masaccio, e – perché no – il Beato Angelico. In ogni città vi sono delle grandi opere d’arte sacra; sarebbe meraviglioso, per esempio, se Valentina volesse istruirci sull’arte di Chiusi, se se ne ricorda. Non farci una relazione sull’arte, ma arrivare veramente a una meditazione, a una contemplazione teologica del Mistero attraverso proprio il contatto con certe opere d’arte; è una cosa che dobbiamo cominciare a fare. Guardate che sono 500 anni che non lo fa più nessuno.
Lo dobbiamo fare noi; è meraviglioso pensare che nell’Oriente le opere d’arte sono teologia. Guardate che anche oggi in Russia si può dire che i teologi son nati da un secolo e non sono mica grandi, ma teologia vera sono le opere di Teofane il Greco e di Rublev, ed è vero ed è giusto che sia così, anche perché a differenza del ‘Testamento’ di san Francesco o delle opere di san Giovanni della Croce, le opere d’arte pittorica hanno un carattere più universale della poesia e del trattato. Gli scritti di santa Teresa ci rivelano, ci rendono testimonianza della sua esperienza interiore – così è per san Giovanni della Croce – e non si adattano a tutti. È un grave errore che tutti si voglia passare per quella via; l’arte non tanto è testimonianza ed espressione della religione propria di colui che dipinge, quanto forse anche di tutto un mondo, di tutta un’epoca. È indubbio che le grandi cattedrali romaniche in Italia e le grandi cattedrali gotiche della Francia, sono più la testimonianza della religione di un popolo che la testimonianza della religione di un architetto. E quello che è vero per la grande architettura è vero anche in un certo senso per la pittura; ecco perché nell’Oriente le icone non hanno in generale il nome dell’artista che le ha dipinte – in generale non si conosce e non ha importanza – però in realtà l’icona è la testimonianza, è l’espressione della vita religiosa di tutta la Chiesa ortodossa russa, di tutta la Chiesa ortodossa greca, dei popoli orientali cristiani.
Sarebbe una cosa meravigliosa se un altro anno Margherita (Santi) facesse una relazione sulla Maestà di Cimabue, che è stupenda; Cimabue è veramente un uomo religioso. Si può fare un libro di studio teologico e spirituale sulla Maestà di Cimabue, sulla Maestà di Giotto. Anche i palermitani possono fare uno studio su alcuni mosaici di Monreale o della Cappella Palatina. Chi è di Venezia (qui abbiamo la nostra carissima Fernanda) può meditare su alcune opere di San Marco (…).
Mi piacerebbe che tutti facessero qualcosa; magari soltanto una paginetta, non chiedo di più.
Ritiro del 29 giugno 1975 a Casa San Sergio (FI)