domenica, Marzo 26, 2023

Cercare Dio (1957)

L’uomo cerca Dio. Lo cerca continuamente nonostante che Dio sembri allontanarsi sempre più. Non è questa la vera vittoria del cristiano? Non è questa la grandezza della vita cristiana? A ottant’anni, l’uomo, come a venti, cerca il Signore. Dopo tanti anni, non verrebbe la voglia di mandare a spasso tutto e vivere tranquillamente la vita senza tanti pensieri? Eppure, ecco, la vita cristiana è questa continua ricerca, questa giovinezza perenne di un’anima che non è mai vinta dalle proprie debolezze, dalle proprie miserie, ma riprende ogni giorno il suo cammino. È in questa ripresa che si manifesta l’onnipotenza della grazia divina, la forza di un Dio che vive nel cuore dell’uomo.

No, Dio non ci ha promesso la vittoria sulle nostre passioni, ci ha promesso questa vittoria: che non saremo mai vinti, scoraggiati dai nostri peccati.

Noi siamo salvi nella speranza. Quando eravamo giovani speravamo tante cose, ma poi tutte queste speranze son cadute; le nostre speranze umane sono sogni che, come le foglie, cadono. Via via che passano gli anni, tutti i nostri sogni cadono, e noi ci rendiamo sempre più conto di come sono limitate le nostre possibilità, come sono miseri i risultati che possiamo raggiungere.

Che cosa può essere mai tutta la grandezza umana che noi potremmo sperare? È nulla in confronto alla grandezza soprannaturale che ancora noi speriamo. E la nostra speranza è invincibile, è una certezza divina. È questa la speranza che ci anima e giorno per giorno, mentre cadono i sogni, rimanendo viva, invincibile nel cuore, continuamente ci solleva e ci spinge in un cammino senza riposo incontro a Dio.

È questa speranza che giorno per giorno c’impone un nuovo sforzo, c’impedisce di abbandonarci vinti, scoraggiati, delusi. È questa speranza che ogni giorno ci muove in una ricerca sempre nuova di Dio. Egli è lontano: eppure, giovani ancora di forze e di amore, noi tendiamo a Lui; lo cercheremo fino alla morte e non potremo dire mai di averlo raggiunto. Quanto più Egli vivrà nei nostri cuori tanto più grande sarà l’ansia dell’anima di poterlo possedere, perché quanto più lo possederemo tanto più ci renderemo conto che Egli rimane al di là di ogni nostra presa, inafferrabile, irraggiungibile, immenso.

Oh! Cercare Dio! È tutta la vita cristiana, tutta la nostra vita. La nostra vita se deve essere il ritorno al paradiso perduto, deve essere una conversione continua, una continua fuga, senza stanchezza. Avanti! Il Signore ci ha chiamato, dobbiamo cominciare ora il nostro cammino… Avanti! Nessun timore e nessuno scoraggiamento. È Lui che vive nei nostri cuori, è Lui che ci dà il potere di cercarlo e di trovarlo: Dio!

La via del ritorno, II edizione 2010, pp. 25-27

Il tesoro nel campo (1970)

Due cose ci dice la parabola di Matteo del tesoro nel campo: «Il Regno dei cieli è un tesoro nascosto». E poi anche: «Colui che lo trova lo nasconde di nuovo» (cf. Mt 13, 44).

(…) Che cos’è questo Regno dei cieli paragonato ad un tesoro nascosto? E come mai anche dopo trovato lo si deve nascondere ancora? Intanto è vero un fatto: Dio è nascosto dalle cose. Dio non è un bene che appare direttamente; è sempre nascosto, anche se si trova ovunque, in ogni situazione.

Se voi volete trovare Dio senza affondare, senza scavare in quello che fate, nella situazione nella quale vi trovate, voi non lo troverete mai perché Dio non si manifesta mai apertamente. Dio rimane presente ma sempre nascosto.

Che cos’è questo Dio che tu devi trovare? Probabilmente non si trova lontano da quello che fate, non è in un luogo diverso da quello in cui voi vivete, non implica per voi un andare lontano, un lasciare le vostre cose; implica invece un cercare un poco, uno scavare un poco nel terreno che vi circonda.

(…) A tutti è dato un campo da lavorare ed è la nostra medesima vita, ed è in questa medesima vita che Egli è nascosto, ma noi non lo sentiamo, non lo vediamo. Perché? Perché Egli è nascosto e ci vuole la fede in Dio per poterlo scoprire. Ed ecco perché tutti evadiamo dalla situazione nella quale ci troviamo per cercare di trovare chissà che cosa, e non ci rendiamo conto che nella misura che cerchiamo qualche altra cosa da quello che noi possediamo, in realtà noi perdiamo Dio, perché probabilmente per ciascuno di noi Dio non si troverà mai che nel campo dove la Provvidenza ci ha posto a lavorare.

Soltanto bisogna che si lavori molto sodo, che si scavi molto profondo per poter trovare proprio in questo campo, che la Provvidenza ci ha dato, il tesoro. La nostra vita terrena, la nostra malattia, la nostra povertà, la nostra vecchiaia… dobbiamo renderci conto che questo è il campo dove è nascosto il tesoro. Perché se lo cerco altrove non solo perdo la pace del cuore, ma perdo Dio stesso perché non compio la sua volontà, perché è nell’accettazione umile e serena a questa volontà divina che il mio cuore trova la pace, trova la gioia.

Quello che è il campo che Dio mi ha dato da coltivare, questo è il campo del mio tesoro, un tesoro che è al di sopra di ogni cosa, ma è nascosto. Troppe volte per noi rimane sempre nascosto, e si vive tutta una vita senza scoprirlo. Se poi tu questo dono lo conquisti e ti rendi cosciente che, davvero nella tua vita, povera e modesta fin che vuoi, in una situazione concreta anche la più umile, Dio è con te, tu lo perderai ugualmente se tu non lo nascondi nuovamente! Perciò con quale umiltà e gelosa cura dobbiamo conservare il tesoro, dobbiamo conservare la grazia di questa coscienza di essere di Dio, questa coscienza che Dio è nostro, che Dio è con noi e che noi siamo con Lui. 

Esercizi spirituali a Venezia, 23 ottobre 1970

Essere la gioia di Dio (1998)

L’amore del padre, che nella parabola (cfr. Lc 15, 11-32; la parabola del figlio prodigo) si manifesta così grande e in modo quasi inconcepibile, non può non suscitare una risposta di amore in chi è amato. Il comando dell’amore di Dio da una parte, prima di tutto, ci insegna come noi dobbiamo amare Dio e come l’amore di Dio in noi debba essere il fondamento di ogni virtù, il carattere precipuo della nostra vita religiosa; ma dall’altra parte ci dice anche che non solo l’amore che noi dobbiamo a Dio è cosa mirabile e grande, ma che è ancora più mirabile e grande l’amore che Egli ci porta. Non tanto l’amore che noi abbiamo per Lui, quanto soprattutto il fatto che Egli ci ama. Colui che è l’infinito e in Sé ha una beatitudine immensa, è come se nulla possedesse fintanto che non possiede il tuo cuore. Ci ama così che noi siamo la sua gioia, che noi siamo la sua vita.

È un insegnamento che troviamo già nel Vecchio Testamento. Il profeta Isaia dice infatti che come lo sposo ama la sposa così Dio ama te e come lo sposo trova la sua gioia nella sposa così Dio trova la sua gioia in te (cfr. Is 62, 5; prima lettura della messa vespertina nella vigilia di Natale). La meditazione dell’amore che dobbiamo portare a Dio è superata dalla consapevolezza che noi siamo l’oggetto del suo amore. Si è sempre detto, ed è la verità, che Dio è il fine dell’uomo. Tutta la nostra vita tende consapevolmente o inconsapevolmente a Lui perché vogliamo la verità, perché vogliamo la pace, perché vogliamo la bellezza, perché vogliamo la vita, perché vogliamo l’amore: e Dio è la pace, la bellezza, l’amore; tutto si identifica a Lui nella sua realtà ultima.

Se questo è vero, è vero anche che noi siamo la gioia di Dio, che noi siamo la sua ricchezza, che noi siamo la sua vita. Chi ama trova nell’amato la sua gioia; così anche Dio trova in noi la sua gioia. È una cosa inconcepibile, certo, ma non vi è nulla di più inconcepibile del Credo cristiano; supera veramente ogni nostra aspettativa, ogni nostro pensiero.

D’altra parte non sarebbe Dio colui che si rivela, se Egli non dovesse superare ogni nostra concezione religiosa, ogni nostro pensiero, ogni nostro desiderio e speranza. Per questo possiamo veramente cantare nel Credo: «Propter nos et propter nostram salutem descendit de caelis». Dio ha voluto farsi uomo per noi. Tutto è per noi, noi siamo la causa finale di tutte le opere di Dio, come se in noi Egli, pienamente, trovasse l’ultima perfezione della sua vita, l’ultima e la più grande gioia del suo cuore.

È un insegnamento che sembra blasfemo: come possiamo pensare che Dio abbia bisogno dell’uomo? Che Dio non soltanto ci ami, ma faccia di noi il termine stesso di tutto il suo amore? Eppure è come se il paradiso non fosse più nulla per Lui. Egli lascia di fatto la gioia del cielo e si fa uomo: bambino nella grotta di Betlemme, fanciullo nella bottega di Giuseppe, uomo peregrinante attraverso i villaggi della Galilea e della Giudea per annunciare il regno di Dio; conduce una vita di povertà, di umiltà, di stenti. E ancora di più: vive una vita di oltraggi da parte degli uomini, di odio da parte dei sommi sacerdoti, di morte. Per noi Egli tutto sceglie, tutto vuole. Egli ci ama. Nulla è per Lui la sua sofferenza, se attraverso questa sofferenza può salvarci, perché la sua vita non è la sua gioia, perché la sua vita non è la sua ricchezza: siamo noi la sua vita. Come per noi dopo la nostra morte tutto ci apparirà inutile tranne l’amore che avremo portato al Signore, perché è quello che ci farà vivere eternamente, così per Lui è nulla il paradiso senza di noi. Così Egli ci ama.

Ritiro del 22-23 marzo 1998 a Solarino (SR)

Giustizia e misericordia (1972)

Mi sembra che l’insegnamento della prima lettura (cfr. Sap 12, 13. 16-19) sia una delle dottrine che il magistero dei dottori d’Israele amava sottolineare fino dal commento di una delle prime pagine della Genesi (cfr. Gen 18, 23 ss), quando cioè Abramo chiede che Dio usi misericordia verso le città di Sodoma e Gomorra: chiede questa misericordia di Dio a motivo della sua giustizia, ed è uno degli insegnamenti più profondi di tutta la dottrina rabbinica, anche se noi cattolici non lo sentiamo dire molto spesso. Da noi si oppone spesso la giustizia alla misericordia, invece il Giudaismo antico vedeva nella misericordia l’unico modo, da parte di Dio, di esercitare giustizia. Dio è giusto nella misura che è buono, Dio è giusto nella misura che è misericordia, Dio è giusto nella misura che Egli ha pietà. Ci sembra che l’insegnamento teologico della tradizione cristiana, più che dipendere dalla Sacra Scrittura – benché dipenda anche dalla Sacra Scrittura, non lo nego – dipende anche da una certa visione delle virtù come ce le ha date Aristotele.

(…) Riprendiamo un poco il concetto di giustizia che è proprio dei pagani: giustizia è dare a ciascuno quello che gli è dovuto. Ora Dio non deve nulla a nessuno, però Dio deve qualcosa a Se stesso. Ma in che modo la giustizia divina può essere ripagata se non da Lui? Egli deve a Se stesso dunque di colmare quello che è deficiente nella creatura; alla giustizia divina non può rispondere altro che la misericordia infinita. Pretendere dalla creatura come tale è per Iddio mettersi nella condizione di non avere mai il pagamento. L’uomo non ha nulla da dare a Dio in compenso di quello che può avergli tolto. E allora, se Dio vuole essere pagato, non può essere pagato che da Se stesso. La risposta alle esigenze divine non può essere data che dal suo amore ineffabile. È quello che diceva sant’Agostino: «Chiedimi, ma dammi anche quello che chiedi!». È Dio soltanto che risponde a Dio, e nessun altro può rispondere a Dio che Lui stesso.

Ma voi capite di qui come sia meravigliosa la vita cristiana! Non abbiamo nulla da temere. Abbiamo commesso dei peccati? Ebbene chi è che diviene l’inizio della redenzione? Una prostituta, la Maddalena: e chi è che va in paradiso per primo? Un ladrone. Ma è giusto che sia così. Perché? Oh! Perché Dio, come diceva sant’Agostino, coronando i nostri meriti, non corona che i suoi doni. Dio solo risponde a Dio, e quando l’anima crede di dare qualche cosa di suo, allora quest’anima già si mette fuori da ogni ordine di grazia; quando l’uomo si fida di se stesso, quando l’uomo crede nelle proprie virtù, quando l’uomo si sente un galantuomo, quando l’uomo è contento e soddisfatto di sé e crede di portare a Dio qualche cosa, è proprio in questo caso che quest’uomo è estraneo alla vita divina, perché tu non puoi portare a Dio se non quello che Egli ti ha dato.

La giustizia dunque di Dio è la sua stessa misericordia. Egli non può essere giusto, Egli può essere buono, longanime perché nulla può essere sottratto al suo dominio: giusto giudice, Egli eserciterà la sua giustizia in una bontà senza confine, in un amore che non conosce misura. È quello che diceva del resto anche uno dei nostri grandi mistici medioevali, il beato Suso: «Alla giustizia divina che è infinita non risponde se non una misericordia infinita». Perché ci deve mandare all’inferno Nostro Signore? Certo, se tu ci vuoi andare ci vai, ma perché dovrebbe mandartici Lui? Tanto, anche mandandoti all’inferno, non ottiene nulla da te: mica ottiene un risarcimento per il nostro peccato! L’unico risarcimento che può ottenere per il nostro peccato è il suo Sangue divino, è il suo amore infinito; solo questo amore risponde all’abisso della colpa.

L’abisso della colpa è colmato soltanto da Dio: non dall’atto umano, non dalla pena dell’uomo. E proprio perché la pena dell’uomo non può soddisfare la giustizia divina, questa pena sarà eterna. Cioè, non perché l’eternità della pena soddisfi, ma perché non potendo soddisfare, l’uomo rimane nella pena, il debitore rimane insolvibile. Allora, dal momento che ci scapita l’uomo e ci scapita Dio, perché Dio dovrebbe mandarmi all’inferno?

Apriamo la nostra anima ad accogliere il dono della misericordia infinita! Accogliamo questa misericordia infinita che sola risponde alle esigenze della sua divina giustizia, della sua Santità.

Ritiro a Firenze del 23 luglio 1972