Monachesimo nel mondo
«Noi siamo un monachesimo interiorizzato, non perché vogliamo essere meno monaci di chi vive nel monastero. (…) Dobbiamo vivere la vita di tutti come l’ha vissuta Gesù. Gesù si è chiuso in un monastero, in un’abbazia? No, è vissuto in mezzo agli uomini, ma nessuno è più santo di Lui. A noi Egli ha dato una vocazione che è simile alla sua più di quella degli altri monaci. Egli ci lascia in mezzo ai fratelli, ma in mezzo ai fratelli vuole che siamo sacramento di Lui, vivo e luminoso.
Ecco quello che la Comunità ci impone. Che il Signore ci doni di rispondere ad una vocazione tanto alta».
Esercizi a Vittorio Veneto (TV), 24-28 agosto 1988
“In qualunque stato, in qualunque condizione di vita, in qualunque età e qualunque sia il sesso, noi dobbiamo vivere una spiritualità monastica, perché la Comunità è un movimento monastico. Si è detto fin dall’inizio che noi vogliamo realizzare un monachesimo interiorizzato, cioè vogliamo esser monaci nel mondo, senza la difesa della clausura, senza la difesa del silenzio e soprattutto senza il distacco dai nostri fratelli.
(…) Nel rispetto dunque dello stato di vita di ciascuno, noi dobbiamo vivere una spiritualità monastica. Non è qualche cosa che si aggiunge alla nostra vita, ma deve penetrarla dall’intimo e trasformarla, pur nel rispetto dello stato di vita di ciascuno”.
Esercizi a Zafferana Etnea (CT), 6-10 giugno 1988
«Non crediate mai che il fatto di vivete nel mondo vi impegni ad una santità minore di quella che il Signore può chiedere ad una Carmelitana o a una Benedettina! Ci impegna alla medesima trasformazione, perché oggi si impone davvero che Gesù di nuovo venga e cammini nelle vie del mondo. Gli uomini non vanno più a Lui ed è il Cristo che deve andare a loro.
Ecco perché noi siamo nel mondo: non perché apparteniamo al mondo, ma perché il mondo ha bisogno di questa rivelazione del Signore; e ciascuno di noi lo deve essere».
Esercizi a Vittorio Veneto (TV), 24-28 agosto 1988
«Guardate che io sono stato convertito, si può dire, da Dostoevskij: è stato lui a dirmi anche il tipo di vita che Dio voleva da me e da voi, il monachesimo interiorizzato nel mondo. Vi ricordate, ne I fratelli Karamazov, lo staretz Zosima che rimanda nel mondo Alëša? Ecco, se nella Comunità ci sono delle case di vita comune, sono per sorreggere, per alimentare coloro che devono vivere nel mondo e nel mondo devono vivere la stessa nostra vita: una vita monastica, cioè una ricerca di Dio, (…) una vita che afferma, anche nell’esercizio delle professioni sociali, il primato delle virtù teologali, il primato della preghiera, dell’unione con Dio».
Ritiro a Casa San Sergio, 19 gennaio 1986
«La cosa che si impone nella Comunità è questo: vivere il primato della contemplazione senza separarsi dal mondo, per vivere come Gesù, come sacramento di una Presenza divina tra gli uomini. (…) Questa vita contemplativa trasformi i nostri comportamenti e i nostri rapporti e si irradi al mondo e sia testimonianza viva di una presenza di Dio tra gli uomini e sia manifestazione della sua vita tra noi».
Ritiro del 29 gennaio 1981 a Bologna
«È questo il monachesimo interiorizzato che dovrebbe essere la nostra vita. Monaci, sì, lo siamo, ma monaci senza clausura; monaci, sì, lo siamo, ma monaci che vivono in tutte le situazioni e condizioni di vita, purché però queste situazioni e condizioni di vita divengano per noi il sacramento di una divina Presenza, in tal modo che attraverso tutto e in tutto, noi viviamo la nostra donazione a Dio, la nostra unione con Lui».
Adunanza del 7 febbraio 1988 a Firenze
«Il monachesimo interiorizzato, proprio della Comunità, è come quello di Gesù, monachesimo che rifugge da una separazione dai fratelli; tuttavia non vuole un’assimilazione con loro, perché il mondo è deserto da Dio e in esso Dio rimane sconosciuto. Invece, noi non siamo fatti a sua immagine e somiglianza, non siamo suoi figli? Allora questa immagine di Dio deve essere particolarmente risplendente e luminosa in noi… Siamo nel mondo perché gli uomini si accorgano di Dio, entrino in un certo rapporto con Dio, vengano a conoscere che Dio è: la nostra presenza deve suscitare la fede».
Ritiro a Casa San Sergio, 6 gennaio 1986
«Penso che l’idea prima della Comunità mi sia venuta quando facevo il liceo leggendo I fratelli Karamazov, perché questo fu anche il libro che mi convertì al cristianesimo. Ve l’ho detto altre volte: volevo andare via dal seminario, perché mi dava noia quel cristianesimo vissuto spesso così stupidamente, tante volte così povero, così anemico come mi veniva insegnato.
L’impressione di quanto poteva essere grande il cristianesimo leggendo Dostoevskij, penso che abbia avuto la sua importanza anche per la nascita della Comunità, perché accennava ad un monachesimo vissuto nel mondo, dove dobbiamo essere testimoni di Dio, sacramento vivente della divina presenza»
Esercizi spirituali a Paestum, 18-22 giugno 1984
Non vi è Paradiso per te, non vi è Dio per te al di là dell’atto che vivi, e se tu nell’atto che vivi non incontri Dio, questo atto per te è veramente perduto.
La legge è l’amore, I ediz., p. 114
Se tu vuoi Gesù, non cercarlo in chiesa: Egli si fa presente sotto le specie del pane non per rimanere lì fermo, ma per essere mangiato, perché vuol vivere in noi.
Ognuno di noi, se è in grazia, è il tabernacolo più vero del Signore, perché in noi Egli rimane e vuol rimanere.
Ritiro a Biella, 29 dicembre 1988
Non siamo cristiani finché non realizziamo che là dove siamo è il centro del mondo, che là dove siamo è il cuore dell’universo, perché là dove siamo è Dio.
Roma non è più sacra del luogo dove io sono. Nemmeno il tabernacolo è più sacro del mio cuore, se in me vive Dio.
La legge è l’amore, I edizione, p. 100
La mistica cristiana non è evasione dal tempo, non è evasione dal mondo; nella evasione dal tempo e dal mondo, l’uomo non potrebbe trovare più Dio: crede di trovare l’eternità, crede di raggiungere l’immensità e, perdendo se stesso, perde anche Dio.
Non vi è possibilità di raggiungere l’eternità che nel tempo, non vi è possibilità di aprirci alla immensità divina che vivendo nel mondo. Ora e qui.
La legge e l’amore, I edizione, p. 46
Atteggiamento di umiltà, di riverenza. Tu sei nel compimento di un rito sacro: tutta la vita è un rito sacro e tu usi strumenti che sono vasi sacri. È un vaso sacro il libro e il tavolino, la casa e gli utensili dei campi…
Sono vasi sacri come un calice, sono vasi sacri come la patena, sono oggetti sacri come la tovaglia dell’altare, sono oggetti sacri come tutto quello che riguarda da vicino il culto di Dio perché tutta la vita è un culto, tutta la vita è un rito e tu sei chiamato a vivere e a partecipare a questo rito sacrale.
Ritiro a Viareggio, 16 gennaio 1957