sabato, Settembre 23, 2023

Domenica di risurrezione

Da p. Doroteo

MESSAGGIO PASQUALE

Casa S. Agostino di Canterbury,  Santa Pasqua di Risurrezione 2020

Carissimi, anche da lontano siamo uniti nel proclamare:

Il Cristo è resuscitato dai morti, con la morte ha calpestato la morte e a quelli che erano nella tomba ha donato la vita!”

Lo facciamo anche ora, in un momento drammatico, dove la malattia e la morte sembrano di fatto prevalere. Per questo è proficuo tenere a mente le parole che Gesù aveva pronunciato prima della morte di Lazzaro: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» – Gv 11,4.

Proprio ora che le sicurezze umane si incrinano e si dimostrano inaffidabili, più pura può risplendere la nostra fede e la nostra speranza in Cristo Gesù risorto: Nella fede, noi ora vediamo Gesù “coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto” (Eb 2,9.). “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.” – 2 Cor 4,7-18.

Per la maggior parte di noi è un tempo di privazione in cui persino la porta che conduce a Dio sembra sbarrata: l’accesso diretto ai sacramenti e alle chiese è quasi del tutto impossibile!

Tuttavia leggiamo che: “mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore”- Gv 20,19-20.

Per noi può essere l’inverso: possono essere chiuse le porte del luogo dove si trova il Signore… Non cambia! Nulla riesce a trattenerlo! “Egli, ora, è là dove ama”, come ci ripeteva spesso il Padre… Ed ha anche promesso: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo[1]. È questa visita del Signore che vince la nostra paura.

Ecco un comento del Padre in proposito: Una delle cose più grandi dei Vangeli dopo la risurrezione di Gesù precisamente la parola con la quale termina il Vangelo di Matteo… Come termina? «Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli». È a Presenza del Cristo! Il contenuto unico di tutta la vita del mondo dalla Risurrezione in poi, per coloro che credono, è la Presenza. – Omelia 13/04/1987 (Audio).

Come incontrarlo? Vediamo in vari passaggi della Scrittura che il Signore tende a manifestarsi quando si parla e si conversa di Lui e di ciò che lo riguarda: “e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.”[2] Può essere che anche siamo incapaci di riconoscerlo[3] e magari abbiamo anche il volto triste[4], perché riteniamo di essere fin troppo bene informati su tutto ciò che è accaduto in questi giorni[5] tuttavia se ci rivolgiamo alle Scritture, anche il nostro cuore potrebbe cominciare ad arderci nel petto[6]… Probabilmente è proprio per questo che San Paolo ci esorta: “La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori”[7]. Comunque il risultato è che: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»”.[8]

Ma dov’è questa presenza?

Cristo è sempre presente nella Sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche… nel Sacrificio della Messa… nei sacramenti… E’ presente nella Sua Parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. E’ presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel Mio nome, là sono io, in mezzo a loro”.[9]

S. Giovanni Crisostomo: Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia. Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18,20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la Sua Parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la Sua Scrittura, leggo la Sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «lo sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).[10]

Ma allora è presente solo ‘fuori’ di noi?

Ascoltiamo di nuovo il Padre: Miei cari fratelli, questa sola è la Resurrezione. Le apparizioni vogliono dare certezza a coloro che hanno perduto la fede e convincerli di questo grande miracolo che è avvenuto, che Colui che era morto ora è vivo. È vivo e dona la vita; è vivo e rinnova l’umanità. Infatti l’umanità si rinnova soltanto con la Resurrezione. Nella Morte Cristo merita la redenzione dell’uomo, ma è soltanto nella Resurrezione che Egli dona il suo Spirito. Che cosa dice Gesù quando entra nel Cenacolo secondo il Vangelo di Giovanni? «Ricevete lo Spirito Santo» [Gv 20, 22]. Dopo la Resurrezione Egli dona il suo Spirito; e donando il suo Spirito Egli vive in noi. … Egli vive in noi: ecco la Resurrezione. … Noi non lo percepiamo ancora, perché non abbiamo gli organi adatti per percepire quello che il Cristo compie in noi; ma quello che Egli compie è più grande della creazione del mondo, come diceva l’orazione che abbiamo detto. Infatti la creazione del mondo è soltanto la condizione perché Dio si possa donare a noi. Vi piace il sole? Vi piace il mare? Vi piacciono i monti? Eppure sono nulla in paragone di quello che l’uomo può vivere, anche se viene dimenticato da tutti. Dio è il nostro possesso, e la nostra ricchezza! Dio è la nostra medesima vita! Noi dobbiamo avere questa percezione, altrimenti quale buona novella portiamo al mondo? … Dio ha portato la sua pace, e questa pace è l’unione con Lui, è il vivere la sua medesima vita; la sua pace e questa grazia immensa che Egli ci fa di vivere in noi e di far sì che noi viviamo in Lui. Questa è la Resurrezione. … Nel giorno di Pasqua [si canta] in gregoriano… «Resurrexi et adhuc tecum sum – Sono risorto e sono con te». Ecco quello che voi dovete cantare, anche se non sapete cantare. Egli è con noi: «Sono risorto e sono con te!». Che noi possiamo ascoltare la parola di Gesù che ci dice questo! Che noi possiamo sperimentare questa presenza del Cristo in noi! Non al di fuori di noi. Perché l’unione avvenga, bisogna che Egli non sia al di fuori di me, bisogna che Egli ponga la sua dimora nel nostro cuore. Lo dice san Paolo nella Lettera agli Efesini [3,17]: «Christum habitare per fidem in cordibus vestris – Per la fede il Cristo abita nei vostri cuori». Nei nostri cuori! Non lo cercare Gesù nel cielo, non lo cercare in nessuna parte! Quando lo cerchi lo hai perduto. Egli è in te; in te e soltanto in te! Quanto più affonderai nell’intimo e tanto più lo troverai … È questo che ci insegna tutta la mistica cristiana: affondare nel proprio centro, nell’intimo del cuore, là dove dimora ora il Signore, che si è dato a tutti noi per essere di tutti la vita, la gioia, la plenitudine della santità, l’immensità dell’amore. – Triduo Pasquale, Desenzano, 12-15/04/1990.

Se questo non bastasse abbiamo una conferma ancora più autorevole nelle parole del Signore stesso: “Se uno Mi ama, osserverà la Mia parola e il Padre Mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. – Gv 14,23.

Vivere questo, per noi è estremamente importante, se vogliamo essere fedeli alla nostra missione:

dare speranza agli uomini.

Dice ancora il Padre: Rendiamo testimonianza della Resurrezione, dunque, perché in questa testimonianza noi siamo coloro che daranno l’unica speranza agli uomini che vivono quaggiù nel buio e non sanno dove terminerà il loro cammino. Per chi non crede, questo cammino è davvero come dice il Leopardi… tutto finisce. Non è così per noi che annunciamo la Resurrezione, il mondo ha veramente una speranza. Noi dobbiamo dare questa speranza al mondoperché non tema. Il nostro cammino ha per meta la luce, il nostro cammino ha come meta la vita; il nostro cammino ha come meta l’amore. Il Cristo risorto ci ha aperto tutte le strade, non possiamo temere più. – Triduo Pasquale, Desenzano, 19-21/04/1984

Qualche pensiero dal Testamento del Padre da leggere nella luce della Risurrezione: Le consolazioni quaggiù sono solo un aiuto perché viviamo nella fede l’adesione alla sua volontà. Per questo chiedo a voi la fede, una fede semplice, pura, ma grande. Dio non vi mancherà. Vi siete donati a Lui, ed Egli vi ha preso: siete suoi per sempre. È un fatto assai relativo che la parete del corpo ci impedisca di vivere insieme. L’unione con Lui non è nell’esperienza sensibile, ma nel Cristo che ci ha uniti a sé e ci ha voluti un solo Corpo con Lui. … A tutti … voglio rivolgere il mio ultimo saluto, il mio ringraziamento più fervido, più vivo, la mia assicurazione che non abbandonerò nessuno. … Io vi lascio apparentemente. Realmente, sono con voi più di prima. Ma prima della mia presenza, deve essere per voi sicurezza il Cristo che vi ha chiamati e vi ha uniti tra voi. … Quale immensa comunione di amore sarà la nostra nel Cielo! Ma questa non mi sottrarrà alla comunione con coloro che ora lascio quaggiù sulla terra

APPENDICE

Qualche suggerimento pratico per questi tempi difficili: cosa possiamo fare?

Non lasciamoci invadere dalla paura: Dio ha tutto sotto controllo: anche quando a noi non sembra. Infatti: “noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio”.[11] Sta dunque a noi trarre profitto da TUTTO, amando Dio e ricordandoci che: L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa.[12]

Non cercare il “colpevole”: questo non fa altro che alimentare rabbia, frustrazione, risentimento.

Proprio per quanto detto sopra, senza voler giudicare nessuno, è bene stare alla larga da tutte quelle fonti di informazione (video, audio, cartacee) che ci procurano stati di ansia o di risentimento… e scegliere invece quelle che ci infondono fiducia, pace e buona volontà nel Signore.

In questo periodo ci sentiamo quanto mai vicini a coloro che da tanto tempo non possono accedere ai sacramenti a causa della guerra, della persecuzione, o perché vivono in luoghi poco accessibili, oppure in situazioni di peccato… Possiamo anche esaminarci se abbiamo mai avuto, almeno qualche volta, un pensiero di compassione verso di loro, quando vivevamo nella “normalità”: perché questo capita a loro e non a me? 

Possiamo infine (ciascuno di noi nel suo cuore) riconoscere: Signore, io non sono degno di riceverti: tante volte ho sciupato le Tue grazie più grandi: i doni che Tu mi avevi dato… Non ne ho fatto buon uso… Ma anche ora, di’ soltanto una parola ed io sarò salvato!  …Possibile?

La Chiesa ci insegna di sì, anche per quanto riguarda i sacramenti: “Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia Egli non è legato ai Suoi sacramenti”. Infatti: “quanti subiscono la morte a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del Battesimo, anche senza essere sacramento.[13]

Lo stesso vale per la Confessione: La contrizione perfetta “rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale[14].

Sarà dunque diverso per chi, pur desiderandolo di cuore, non ha la possibilità di ricevere l’Eucaristia?[15]

La preghiera sia la nostra missione: particolarmente adatto anche a noi è il seguente brano dal CCC: “Stando ‘da solo a solo con Dio’ i profeti attingono luce e forza per la loro missione. La loro preghiera non è una fuga dal mondo infedele, ma un ascolto della Parola di Dio, talora un dibattito o un lamento, sempre un’intercessione che attende e prepara l’intervento del Dio salvatore, Signore della storia.[16]

VIVERE DA MONACI: proprio in questo periodo la nostra formazione monastica ci viene in soccorso, garantendoci l’uso dei mezzi di salvezza più potenti (dopo i sacramenti): la Liturgia delle Ore[17] e la Parola di Dio. Possiamo dunque dedicare più tempo all’uso del Breviario e alla lettura, studio e meditazione della Sacra Scrittura – A questa raccomanderei caldamente di abbinare anche la lettura del Catechismo (o del Compendio), per coltivare anche il legame con la Tradizione ed il Magistero della Chiesa: Nell’amorosa e umile obbedienza al Magistero accoglierà la divina Rivelazione e alimenterà la propria fede in una sempre più intima conoscenza della Sacra Scrittura e della Tradizione, e vivrà, nell’adesione al mistero della Chiesa, il mistero della propria adozione filiale partecipando sempre più intensamente alla vita liturgica e sacramentale.”

La Scrittura stessa ci conferma: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.” – Rm 15,4. Inoltre leggiamo: “Noi dunque, pur non avendone bisogno, avendo a conforto le scritture sacre che sono nelle nostre mani, ci siamo indotti a questa missione per rinnovare la fratellanza e l’amicizia con voi…” – 1 Mac 12,9-10.

Il Padre ci ha sempre richiamati and un rapporto specialissimo con la Scrittura: Anche per San Giovanni della Croce tutta la vita interiore, tutta la sua esperienza di Dio dipende semplicemente dal fatto che egli ‘ha mangiato un libro’. Di fatto impressiona la conoscenza profonda che egli ha di tutta la Sacra Scrittura: la sua vita interiore è nata ed è stata alimentata… da una continua comunione con la parola di Dio. Questo lo dico a voi, ma vale anche per me, perché noto che non si ama abbastanza la Sacra Scrittura, benché si legga tutti i giorni. Si legge così perché dobbiamo leggerla; ma diviene per noi nutrimento?

Io credo che non potremo fare a meno di mangiare tutti i giorni, perché altrimenti verremmo meno lungo la strada, come dice nostro Signore a proposito di coloro che lo seguono (Mt 15, 32). Ma il cibo dell’anima razionale, diceva Origene, è la parola divina. Come dovremmo sentire il bisogno di accostarci a questo libro divino, come dovremmo fare della Bibbia il nostro nutrimento quotidiano!

L’aspetto più originale del cristianesimo, che maggiormente lo distingue, è questa esperienza cristiana in dipendenza dalla Sacra Scrittura; può dipendere anche dai sacramenti, ma prima ancora deriva dalla Sacra Scrittura. … Ora, noi della Comunità dovremmo ugualmente distinguerci per l’amore alla Sacra Scrittura. Sono ormai più di vent’anni che ne facciamo la nostra lettura quotidiana: giorno per giorno rileggiamo questa parola divina. Forse ne leggiamo troppa o troppo in fretta e senza nemmeno quel senso di riverenza e di rispetto dovuto a Dio che ci parla? Ma dobbiamo renderci conto che senza questa parola si muore e, se non sentiamo il bisogno di ascoltarla, vuol dire che siamo malati: quando uno non ha fame, è segno che è malato ed il disgusto del cibo toglie anche la speranza nella guarigione. Se noi non abbiamo sete e fame di Dio, vuol dire che in fondo noi viviamo la nostra piccola vita, che ha escluso Dio dal nostro cuore. La parola di Dio dovrebbe essere, invece, il cibo quotidiano della nostra anima razionale, della nostra anima cristiana.[18]

Un’idea tra le tante per pregare con la Sacra Scrittura: le coroncine bibliche

Per chi, come il sottoscritto, viene da un retroterra di preghiera devozionale, che comprende rosari e coroncine, può essere utile pregare con la Scrittura, riducendola a… coroncine!

Es.: sui grani grossi della corona si proclama:

Cristo Gesù… pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. – Fil 2,5-11.

Sui grani piccoli: Per le Tue piaghe, Gesù, noi siamo stati guariti. – Cf Is 53,5; 1 Pt 2,24.

Al termine: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello.

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. – Rm 8,35-39.

Lo stesso si può fare con qualunque passo adatto della Scrittura (es.: molti salmi e cantici).

Personalmente non ho dubbi sull’efficacia di una preghiera come questa, in quanto è basata sull’onnipotente Parola di Dio proclamata con fede!


[1] Mt 28,20.

[2] Lc 24,14-15.

[3] Lc 24,16.

[4] Lc 24,17.

[5] Cf. Lc 24,18.

[6] Cf. Lc 24,32.

[7] Col 3,16.

[8] Lc 24,36.

[9] CCC, 1088

[10] Ufficio delle Letture del 13 Settembre

[11] Rm 8,28.

[12] B. Charles de Foucauld, che aggiunge: Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non perché esso non c’è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io Ti amo, io Ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io Ti amo»

[13] Catechismo della Chiesa Cattoloica, 1257-1258.

[14] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1452-1453:La contrizione è «il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire».  Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta «perfetta» (contrizione di carità).

[15] Non mi dilungo qui sulla possibilità (quando manca l’accesso ai sacramenti) della Comunione spirituale e di assistere alla messa in televisione, ecc.

[16] CCC, 2584.

[17]La Liturgia delle Ore estende alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico, «centro e culmine di tutta la vita della comunità cristiana»: la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste”. – Introduzione generale alla Liturgia delle Ore, 12.

[18] Circolare: La Parola di Dio Cibo Quotidiano, Avvento 1972, USFPV II.

Sabato Santo

Meditazione di p. Damiano
Don Divo Barsotti, primo piano.
Padre Divo Barsotti, a seguire una sua omelia.
Divo Barsotti – Sabato Santo 1996

Meditazione per il Sabato Santo

p. Damiano, 11.4.2020

Carissimi fratelli e sorelle,

Il sabato santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica omelia: “che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme…. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi”. Quello che ora viviamo non è la morte di un uomo, di un santo, ma la morte di Dio, vissuta in umile semplicità. Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”. Gesù che scende agli inferi, nelle radici più oscure e piagate della natura umana, ha condiviso e condivide il nostro arduo cammino. Silenzio del sabato santo, morte di Dio. Apparente, però: è un nascondimento che porta però in sé una rivelazione. La povertà di Dio che muore nel suo Cristo, sposa l’infinità povertà nostra, il nostro male di vivere, il nostro peccato, per liberarcene. Nell’inferno dell’angoscia, della solitudine umana, della tragedia di tante vite, Cristo è sceso e scende, muore per darci la vita.

Il Sabato santo è la cerniera perenne tra la croce e la risurrezione, seme di luce nel buio. Luce nelle tenebre. E così nella vita della Chiesa, noi viviamo già la redenzione, la gloria, la vita di Dio, ma sotto un abito esterno di morte. Solo morendo a tanti idoli umani incontriamo Gesù, solo entrando nel grande silenzio del nostro ‘io’, lo troviamo in noi vivo, nel suo morire per risorgere con noi.     

Il contenuto liturgico del Sabato Santo è molto complesso e vorrei condividere con voi due aspetti importanti di questa liturgia: quello della discesa di Gesù agli inferi e quello del silenzio. 

Descendit ad inferos (Discese agli inferi)

Il padre ci ricorda anzitutto che la Chiesa in questi ultimi secoli ha messo da parte, pur senza negarlo, questo dogma che è uno dei dogmi fondamentali del Cristianesimo primitivo. Gesù che discende agli inferi: che significato ha per i cristiani di oggi questa espressione? È grave cercare di dimenticare o almeno non cercare di realizzare tutto quello che crediamo (…). L’espressione “Descendit ad inferos” contenuta nel Simbolo degli Apostoli (o Credo apostolico) ci richiama un’altra discesa di Gesù oltre quella della sua incarnazione. Come l’ascensione porta il Cristo nel seno del Padre, cioè al di là di ogni limite, di ogni misura, nella trascendenza infinita di Dio, così questa discesa implica, di per sé l’affondare nell’abisso più fondo della creazione: infatti gli inferi, l’inferno, indicano la più grande umiliazione del Figlio di Dio. Ma questo dogma nella sua dimensione misterica, ha due facce: implica sì, la suprema umiliazione del Cristo, ma anche la suprema glorificazione, la massima espressione della potenza del Cristo vittorioso. Da una parte la discesa negli inferi è il precipitare di Dio negli abissi: prima si fa uomo, muore, poi discende nella tomba ed infine addirittura nell’abisso più profondo, cioè negli inferi. Ma d’altra parte, siccome si tratta della discesa di un Dio, gli inferi divengono cielo. Poiché gli inferi non possono trattenere un Dio, né in qualche modo limitarlo, condizionarne la vita; sono invece essi stessi che vengono distrutti dal fatto che Dio discende (…).

Questo significa che Dio non può discendere senza che gli abissi diventino cielo. Gli inferi non possono trattenere Dio né condizionarlo, ma Dio trasforma gli abissi nella manifestazione della sua potenza. Perciò nella discesa agli inferi l’umiltà più profonda si identifica alla gloria di Gesù Cristo: l’impotenza, la debolezza di un Dio che discende fino negli abissi, quasi, del nulla, divengono la manifestazione dell’onnipotenza divina, di un potere che vince gli inferi.

Anche quest’anno abbiamo più volte pensato la Quaresima come un cammino, il cammino che Adamo dovrà fare per tornare dal suo esilio verso il paradiso. Questo cammino di ritorno è possibile solamente perché è preceduto dal cammino del nuovo Adamo che scende agli inferi alla ricerca del nostro progenitore e lo trae con sé nel regno dei cieli. Dal suo nascondimento Adamo può ora passare alla comunione con Dio. Come dice un’antica omelia per il Sabato Santo: “Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura…. io non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste, ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita ma io che sono la vita, ti comunico quello che sono” (Seconda lettura dell’Ufficio delle letture).

   Adamo è tornato in se stesso, come il figlio prodigo; può abbandonare il suo nascondimento e l’esilio. L’antica paura è dissolta, l’amore vince il timore. Felice caduta che trova una rinascita più bella.

Benedetto XVI, in una sua catechesi per il Sabato santo, ci ha ricordato come nel nostro tempo, specialmente oggi, l’umanità sia diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo. E tuttavia la morte del Figlio di Dio ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. È il mistero più oscuro della fede e nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Gesù Cristo è disceso agli inferi: che cosa significa questa verità oggi per noi? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù rimanendo nella morte ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Nel regno della morte è risuonata la voce di Dio, l’Amore è penetrato negli inferi: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli. Con questa disposizione interiore cessa la paura, si spengono la confusione e la vergogna e lo Spirito si apre alla fiducia in un futuro migliore, l’attesa non è quella della morte, ma di una nuova vita, dopo la purificazione. 

Insieme con il profeta Daniele possiamo dire: “Per il tuo nome, Signore, non abbandonarci per sempre, non rompere la tua alleanza e non allontanare la tua misericordia da noi”. E san Massimo il Confessore dice: “O Signore, Padrone Onnipotente, esaudisci la nostra supplica, perché noi non riconosciamo nessun altro all’infuori di Te”.

Silenzio

Il Sabato santo è il giorno del grande silenzio: “Oggi sulla terra c’è grande silenzio e solitudine… La terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato”. L’“Uomo dei dolori” che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, è nel sepolcro. Il silenzio del Sabato santo è come una sorgente che mormora, però è necessario il raccoglimento del cuore per poterlo comprendere.

L’importanza del silenzio nella nostra vita spirituale: come viviamo noi il silenzio e che tipo di rapporto abbiamo con esso? L’articolo 27 del nostro Statuto dice cosi: “Perché sia possibile una vita di preghiera è necessario che ognuno coltivi il raccoglimento e la mortificazione. Si difenda quel tanto di silenzio e di solitudine che a ciascuno è possibile”.

Lo Statuto usa un verbo forte in questo articolo: “è necessario” (27). Per l’incontro personale con Dio, perché sia possibile una vita di preghiera, “è necessario” che ognuno di noi impari a vivere il silenzio e il raccoglimento. Il silenzio per don Divo è sempre legato al raccoglimento, un termine-chiave che ritorna ben 4 volte nel nostro Statuto. ‘Raccoglimento’ non significa chiudersi in sé per evadere dagli altri; è una parola che viene dal latino raccogliere, ‘unire insieme’. Nel raccoglimento noi ci uniamo dentro di noi, ci unifichiamo, fuggendo la dispersione quotidiana e concentrando tutti noi stessi in Dio e allo stesso tempo unendoci a Dio.

Ma senza vivere il silenzio, il raccoglimento è impossibile.

Si può dire tanto del silenzio, bisognerebbe tacere più che parlare di esso. Sabino Chialà (monaco di Bose) all’inizio del suo piccolo libretto dedicato al silenzio, riporta un detto della tradizione rabbinica, in cui si racconta che un giorno, quando il rabbi Mendl di Worki fu a Kozk, il rabbi di Kozk gli chiese: ‘Dove hai imparato l’arte del silenzio?’ Stava per rispondere, ma ci ripensò ed esercitò la sua arte”.

Si può tacere per varie ragioni e non tutte sono secondo Dio. Dietro il non-parlare, si può celare di tutto. Isacco di Ninive dice: “Il silenzio continuo e la custodia della quiete perseverano nell’uomo per una di queste tre cause: o in vista della gloria degli uomini, o a motivo dell’ardore infuocato per la virtù, o perché si ha nell’intimo una qualche consuetudine con Dio che attira a sé il pensiero. Chi non possiede queste ultime due cause, quasi necessariamente si ammala della prima”. 

Il silenzio è una realtà ambigua e anche parziale. Nel senso che non è mai un bene in se stesso, né un bene assoluto. “Un fratello chiese ad abba Poimen: è meglio parlare o tacere? Gli disse l’anziano: ‘Chi parla per amore di Dio fa bene, e chi tace per amore di Dio, anche”. Il problema non è, dunque, parlare o tacere, ma vigilare su ciò che muove ogni nostro atteggiamento, su ciò che esso genera e ciò verso cui tende.

Giovanni il Solitario dice: “C’è un silenzio della lingua e un silenzio di tutto il corpo. C’è un silenzio dell’anima e un silenzio della mente, e c’è un silenzio dello spirito”. Con il tempo e l’esercizio, il silenzio deve diventare sempre più interiore, deve scendere sempre più in quel centro vitale che è il nostro cuore. Il silenzio dell’uomo interiore è l’espressione più autentica del tacere o la più completa. Il vero silenzio non lo si conquista, ma lo si riceve: è Dio che colma il nostro desiderio, e che a un certo punto ci dona il vero silenzio. Dice Isacco di Ninive: “Innanzitutto sforziamoci noi di tacere, e allora, dal nostro silenzio, sarà generato in noi un qualcosa che ci condurrà al silenzio. Che Dio ti dia di sperimentare ciò che dal silenzio è generato”.

Scrive don Divo nei suoi diari: “L’unica presenza vera è, in questo mondo, il silenzio di Dio – ma l’uomo non sa sopportarlo”. E in un altro diario afferma: “La vera preghiera è il silenzio dell’anima che accoglie Dio in sé”.       

Nel silenzio del sabato santo chiediamo allora insieme al Signore che, sull’esempio della Vergine Maria, anche la nostra preghiera possa giungere a questo silenzio: un silenzio pieno, non sterile, non disperato; un silenzio pieno di amore per Dio, per accogliere il Signore in noi e farlo vivere dentro di noi, nella nostra vita, e per accogliere in Lui tutti gli uomini.

Che il Signore ci doni la grazia di vivere il mistero del sabato santo. Amen.

Giovedì Santo

Meditazione di p. Agostino Ziino

Madonna del Sasso, 9 aprile 2020

Giovedì Santo

Mai come quest’anno sentiamo la responsabilità di vivere questo Triduo pasquale con impegno religioso profondo e adesione assoluta al Mistero. Rispetto all’abituale esperienza dello  scorrere del tempo liturgico, che viviamo quasi come una realtà scontata, colgo in me oggi una percezione nuova, inedita, della gratuità del dono che riceviamo da Dio Padre che ci invita anche quest’anno a partecipare alla Pasqua del Figlio Suo. Con l’odierna liturgia vespertina – la Messa ‘in Coena Domini’ – entriamo nel cuore di questo Mistero, che è quell’evento di morte e risurrezione che ha avuto per unico protagonista Gesù, Verbo incarnato, ha segnato la storia spezzandola in un ‘prima’ e un ‘dopo’ e insieme portandola al suo compimento, e che pure ci viene proposto dalla liturgia della Chiesa come un evento che ci tocca personalmente, l’evento unico della nostra redenzione,  che dobbiamo far nostro perché non venga resa vana la croce di Crist , come scrive Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,17. Cfr. pure Gal 2,21).  

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