Commento a 1Gv 3, 13-15.
II mondo è dominato dal maligno. I discepoli hanno fede e conoscono Dio, hanno l’amore e vivono in comunione fra loro. Ma il mondo non solo non conosce Dio ma non conosce neppure i fratelli, e come non ama Dio, così odia i fratelli. (…) Così i fratelli si trovano a vivere come stranieri nel mondo, ma vivono una perfetta comunione di amore fra loro; in questa comunione, Dio stesso è presente e diviene la loro vita. La divisione si è già compiuta. Chi ama è già entrato nella vita, chi non ama è già nella morte. La divisione è determinata precisamente dall’amore e dall’odio.
L’accento diviene lirico ed è sentimento di vittoria: «Noi sappiamo, dice il testo, di esser passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli». L’amore dei fratelli, così com’era predicato, ma soprattutto com’era vissuto, era una meravigliosa novità per coloro che avevano creduto ed erano venuti a far parte della Comunità. Essi sperimentavano il dono della salvezza nell’amore che li univa fra loro. Era l’amore che essi avevano conosciuto, perché si erano sentiti amati da Dio, da un Dio che si era fatto uomo per loro e aveva dato la suprema testimonianza di amore nella sua morte. Quel medesimo amore regnava ora nella Comunità. Fra poco l’apostolo dirà: «anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», come fosse la cosa più ovvia e naturale. Era quel medesimo amore e non poteva operare diversamente. Ma l’esperienza dei fratelli ora faceva conoscere meglio anche lo stato di chi non aveva conosciuto l’amore. «Chi non ama rimane nella morte». Sono parole e sono testimonianza di un’esperienza, ma dell’esperienza di prima, di quando essi non avevano ancora conosciuto l’amore. «Chi non ama rimane nella morte».
(…) Si può anticipare a proposito dell’amore, quanto l’autore scriverà poco dopo: «Chi ama è nato da Dio». La fede può essere implicita. Chi ama è nato da Dio. Non si dice chi ama Dio, non si dice che questo amore debba essere cristiano. È sufficiente che sia amore, perché sia cristiano; è sufficiente che sia amore perché debba essere già la prova di una presenza di Dio nel cuore dell’uomo, perché la carità è da Dio e non può esservi amore là dove non vi è Dio. La grande novità cristiana è precisamente l’amore. Detto così senza alcuna determinazione è già amore gratuito e universale, ha i caratteri stessi dell’amore di Dio. Non è amore di alcuni, non avendo un suo oggetto si estende a ciascuno. Chi sceglie non ama, il motivo per cui si sceglie toglie all’amore la sua gratuità. Se questo amore riguardo all’oggetto è universale, riguardo al soggetto è come l’amore di Cristo ed esige il dono totale. Chi ama veramente è colui che nell’amore realizza se stesso ed è amore. Nel suo atto impegna se stesso fino alla morte. È l’amore di Dio che vive nel cuore dell’uomo; è la prova di una presenza di Dio nel cuore del mondo. Si rivolge a tutti: non è detto «chi ama i fratelli»; è un amore che non conosce un oggetto precedentemente al suo atto, perché tende per sé a tutti. Non ha limiti nell’oggetto, non ha limiti nel soggetto.
(…) Chi ama, nel suo amore medesimo salva. Invece «chi odia il suo fratello, è omicida». L’atto interiore non è un atto gratuito e inefficace, ha una sua efficacia reale. Se l’odio esclude e respinge, opera veramente la morte. Nel suo odio un uomo ha già ucciso il fratello; ha espulso dal suo cuore il fratello, quasi egli non fosse, in se stesso gli ha dato la morte. Ma se questo è vero dell’odio, è vero anche dell’amore. Chi ama porta tutto il mondo dentro di sé e in sé lo salva. Così ha salvato il mondo Gesù.
(…) In me tutti debbono essere salvi. Porto in me tutto quello che amo; non posso dividermi da alcuno, perché l’essere del cristiano in cui egli sussiste, è il Cristo, e il Cristo è tutta l’umanità redenta divenuta una con Lui. Ogni uomo è come l’ipostasi dell’universo. Così la salvezza di uno solo è in qualche modo la salvezza di tutti; ma così nell’odio ogni uomo più ancora che dare la morte al fratello, uccide se stesso. «Chi odia è omicida», scrive l’apostolo; egli uccide il fratello perché dà la morte a se stesso. Nella sua morte muore anche il fratello, come nella sua vita, se ama, anche il fratello si salva.
Meditazioni sulle tre lettere di Giovanni, pp. 91-95