mercoledì, Novembre 29, 2023

Verso la festa di Pentecoste

La gioia del cristiano nell’essere amato da Gesù

Omelia del 9 maggio 1986

Divo BarsottiLa gioia del cristiano nell’essere amato da Gesù

Sì è detto ieri che il dono dello Spirito Santo ci dà la possibilità di conoscere il Cristo. “Il mondo non lo conoscerà, ma voi lo conoscerete” (cfr. Gv 14,17); “mi conoscerete” anzi, dice Gesù nel Sermone dopo la cena. Anzi, dice di più che conoscerlo: lo vedremo. In noi – si disse ieri – che è questo il primo effetto dell’azione dello Spirito. Certo, l’azione dello Spirito Santo ci dà anche l’esperienza della pace, del sentimento vivo di una pienezza interiore, ma tutto questo sarebbe ben poca cosa se tutto questo non fosse l’effetto di un rapporto nuovo con Cristo Gesù. Lo vedremo, stabiliremo con Lui un rapporto.

Stamani, ecco, ci dice qual è il primo effetto di questo conoscere il Cristo, di questo vederLo – “vi vedrò di nuovo” (Gv 16,22) e noi lo vedremo. Qual è questo effetto? La gioia. Una gioia che distingue il cristiano come sentimento perenne, come sentimento continuo della sua vita, perché – dice Gesù nel Vangelo di oggi – “nessuno potrà rapirvi la vostra gioia” (Gv 16,22). Da questo dunque noi conosceremo se siamo cristiani: se possederemo la gioia. Una gioia pura, tranquilla, una gioia evidentemente che non è una gioia sensibile, ma una gioia vera, la gioia che nasce dalla koinonia (dalla comunione): come nell’amore umano la presenza dell’amato o dell’amata è l’origine prima, la sorgente più vera della gioia umana, così, nel piano di Dio, la presenza del Cristo. Perché la presenza del Cristo non è la presenza del giudice: è la presenza di Colui che ama. Domani sarà giudice, ma oggi non giudica: oggi, se tu gli fai posto, Egli viene con il dono del suo amore, Egli viene per essere tuo. Se dunque tu vivi la koinonia, la comunione col Cristo, tu non puoi che conoscere la gioia: una gioia serena, non come la gioia del mondo che è turbolenta, ma una gioia che è come la luce, penetra l’essere umano, lo purifica e lo solleva. Una gioia pura che penetra tutto l’essere, lo rende più leggero, più libero; è come se togliesse all’anima ogni peso, è come se togliesse all’anima ogni sua opacità; purezza e limpidità della gioia, della gioia cristiana. Noi dobbiamo vivere questa gioia pura. Egli è con noi e rimarrà sempre con noi; nulla potrà separarci da Lui, nessuno potrà rapirci dunque la nostra gioia, come dice Gesù nel Vangelo di oggi, proprio perché Egli rimane con noi, Lui che è l’amore, proprio perché Egli rimane, vive con noi, vuol essere nostro, Lui che è l’amore.

S’è detto prima: se Egli viene oggi viene come colui che ci ama, non come colui che ci giudica. E ricordatevi quello che diceva allora sant’Efrem: “Se tu accogli oggi il Signore, non ci sarà giudizio per te perché sei già passato dalla morte alla vita. Il giudizio è per coloro che sono morti e la presenza del Cristo li manifesta tali, vuoti, soli. La dannazione è questa solitudine estrema dell’anima che non è amata e non può amare più. Ma tu, tu vivi con Lui ed Egli vive con te: con la resurrezione di fatto questo si è compiuto. Egli è divenuto intimo a ciascuno, compagno nel cammino che ognuno deve compiere quaggiù nella terra.

Vi ho detto altre volte: l’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus è il simbolo della stessa vita umana. Non c’è una pagina del Vangelo che meglio esprima quello che è la vita dell’uomo quaggiù sulla terra: un pellegrinare, un andare verso la casa, e in questo cammino possiamo sentirci tristi, e in questo cammino possiamo sentirci soli, e in questo cammino ci sembra di essere dei vinti. No: Egli si accosta a noi, Egli viene con noi, Egli si accompagna al nostro cammino finché i nostri occhi non si aprono e noi lo riconosciamo. Allora possiamo dire: “Come ardeva il nostro cuore quando Egli era con noi!” (Lc 24,32). Ma perché parlare al passato – scusa – perché vuoi parlare al passato? Egli è sempre con te; se tu non lo ri-scacci, se tu non ti allontani da Lui, Egli rimane con te ed è in questa presenza del Cristo – che è l’amore – che l’anima nostra troverà la pace, la dolcezza, la gioia: dobbiamo vivere questo.

Come veramente certi scrittori non hanno capito nulla del Cristianesimo. Hai presente, Andrea, Alle fonti del Clitumno di Carducci? Secondo Carducci sembrerebbe che il Cristo ha gettato la croce sulle spalle dei suoi fedeli e gli ha detto “Portala e servi, sii schiavo!”. Schiavi, noi schiavi? Il cristiano è l’unico uomo libero. Il peso della croce? Ma non è vero: la croce per noi ora è la macchina che ci solleva a Dio, come dice sant’Ignazio di Antiochia. Noi non conosciamo che la gioia, la gioia anche nei tormenti, come i martiri, la gioia anche nelle torture – come i martiri – perché nessuno può rapirci la gioia di sentirci amati e amati da un Dio: Egli è con noi. È il primo effetto – dicevo – di questa presenza del Cristo che l’anima nostra vive. Certo, per conoscere questa gioia bisogna vederlo, bisogna cioè avere coscienza di questa presenza di amore, cioè bisogna vivere la koinonia, questo senso di comunione intima col Cristo vivente. Non si tratta di essere buoni; la bontà viene dopo. Prima di tutto si tratta di guardarlo. La prima cosa che ha fatto Nera è il fatto che si è innamorata di Domenico, poi da questo incontro con Domenico lei ha cercato di contentarlo in tutto, di essere vicino a lui, di aiutarlo; così anche noi lo faremo col Cristo, ma prima di tutto bisogna innamorarci di Lui, bisogna guardarlo e innamorarci. È la prima cosa che si impone, se no le virtù diventano un peso, se no le virtù diventano un qualche cosa che ci affatica, che ci stanca, che ci dà noia. No: le virtù possono essere soltanto amate da noi se sono frutto dell’amore. Ma prima di tutto viene l’amore e l’amore non esiste, non è possibile per noi amarci se non vediamo Colui che vogliamo amare, che dobbiamo amare. Anche Nera s’è innamorata quando ha visto Domenico: se Domenico stava giù in Sicilia e lei stava a Verona non poteva mica innamorarsi, bisognava che lo vedesse. Anche tu ti sei innamorato di Amalia, vero? Ma fintanto che non l’hai vista, eri innamorato di Amalia? Non potevi essere innamorato.

Prima cosa che si impone è il rapporto personale con colui che dobbiamo amare. Allora per noi la prima cosa che si impone è che veramente nell’azione dello Spirito Santo Egli a noi si faccia presente, che per l’azione dello Spirito Santo noi vediamo Gesù. Ed è precisamente questo che ci dice proprio Gesù nel sermone dopo la cena: “Voi mi vedrete perché come io vivo così voi vivrete” (Gv 14,19). Lo [mi] vedrete: lo Spirito Santo ci dà gli occhi per vederlo. Ecco che cosa fa lo Spirito Santo dapprima e una volta che lo abbiamo veduto lo Spirito Santo suscita in noi questa gioia, dilata la nostra anima nella gioia, una gioia pura. Sì, la gioia di sentirci amati. Non è un’altra gioia: è la gioia di sentirci amati da un Dio.

Sei povero, sei peccatore? Oh, basta che tu ti apra e l’amore di Dio già ti riempie di sé. Possono essere i nostri peccati a impedire a Dio di amarci? I nostri peccati possono impedirci di credere al suo amore, perciò di aprirci ad accogliere l’amore, ma Dio è amore, non è altro che amore. Vi ricordate quello che vi ho detto? Se anche per un istante solo, un attimo, il demonio dovesse pentirsi e aprirsi all’amore di Dio, l’amore di Dio lo colmerebbe della sua felicità infinita, immensa: Egli rimane l’amore. È il dannato che si chiude, rifiuta l’amore, non vuole accogliere l’amore, ma tu, tu lo guardi. Se lo guardi, ecco, sei preso dall’amore per Lui, ma prima di tutto accetti di essere amato, accogli questo amore, ti apri totalmente ad accogliere questo amore. E allora non sono le nostre virtù e non sono i nostri peccati che attirano l’amore di Dio: le nostre virtù non sono altro che l’effetto dell’amore che Egli ci porta. Una volta che noi accogliamo in noi l’amore di Dio l’amore di Dio ci trasforma, ma non è un prezzo che noi paghiamo per ottenere l’amore. Eh, ci vorrebbe ben altro che le nostre virtù per ottenere l’amore di Dio! Che cosa noi siamo per attirare l’amore di un Dio che è infinito, l’amore di un Dio che in sé medesimo è beatitudine somma ed eterna, per attirare l’amore di un Dio che è santità immensa e pura? No, Dio non è attirato dal nostro amore, dalle nostre virtù, ma Egli ci ama liberamente, ma Egli ci ama gratuitamente, ma Egli ci ama per nulla. E noi dobbiamo davvero aprirci ad accogliere il Cristo: se lo vediamo, se nello Spirito Santo noi otteniamo gli occhi per poterlo vedere, noi lo riconosceremo, Egli viene per portarci Sé medesimo, infinito. E noi, nell’accogliere questo dono di amore, conosceremo la gioia stessa di Dio.

Un mese e mezzo fa la Thea, sai che cosa mi disse? Che non sentiva la pena di aver lasciato la palestra, l’insegnamento dello Yoga, non sentiva nemmeno la pena di aver lasciato di fare scultura; la pena che sentiva è di non poter danzare. Lo dicesti, vero? E io le ho sempre detto che dovrebbe esserci alla Trasfigurazione almeno un’ora e mezza di danza ogni giorno; dovremmo vivere questa gioia serena, questa gioia piena di sentirci uniti al Signore, sentire che il Signore è con noi. Perché anche quando non ritorni alla Trasfigurazione di qui, non fai un passo di danza? Tutta la nostra vita dovrebbe essere questo canto continuo di amore, questa gioia pura che deve traboccare da noi. Quando tu passi per Settignano dovrebbero tutti volgersi a guardare: che cosa c’è qui? Perché veramente è – come dire? – è una meraviglia un’anima che sa di essere amata da Dio. Non ti sembra? Oh, se tu senti il rimpianto di questo vuol dire proprio che tu ancora non lo hai conosciuto. Bisogna che Egli entri nella tua vita e la sconvolga, doni a tutta la tua vita davvero di essere questo trionfo di amore, questo canto di amore, in risposta all’amore che Egli ti porta. Sì, lo dico sempre anche nei monasteri là dove vado a fare gli esercizi: guardate che ogni monastero dovrebbe essere una scuola di danza. Santa Teresa la faceva anche fisicamente, ma se non volete farla fisicamente almeno col vostro spirito dovete sentire veramente di essere sciolti, liberi di vivere una vita che è canto, che è armonia, che è danza divina.

Ecco, questo mi sembra che il Signore ci dica: vederlo è essere pieni di gioia, incontrarci con Lui è svegliarci veramente a una gioia pura ed immensa. Pura: non c’è violenza, non c’è esaltazione mistica, è una gioia che ti penetra come l’acqua e lentamente ti investe e lentamente ti purifica. È come – più ancora che come l’acqua – è come la luce; la luce entra attraverso le finestre. Io stamani ho aperto giù la biblioteca, erano le 4.30: non si vedeva proprio nulla, ma poi pian piano la luce è entrata. E allora non importava più nemmeno che la luce fosse accesa, perché da tutte le finestre entrava e illuminava ogni cosa.

Così è la pace di Dio, così è la gioia di Dio: entra pian piano, penetra tutto, tutto trasforma, tutto diviene limpido, tutto diviene luminoso, tutto diviene puro. Ecco, questa è la gioia di Dio. Che noi possiamo conoscerla davvero per rendere testimonianza di una presenza di Dio nel cuore dell’uomo.

Divo Barsotti – Incontri e aneddoti

Il libro “Incontri e aneddoti” ha avuto una lunga gestazione. L’idea fu di p.Benedetto, che un giorno disse: “Perchè non facciamo un testo dove si raccontano gli aneddoti del Padre, per conoscerlo anche nel suo aspetto domestico, nella sua umanità?” Del Padre esistono tanti libri scritti da lui, e certamente lo si può conoscere attraverso quelli, ma è importante anche ascoltare i ricordi di coloro che lo conobbero personalmente. P.Benedetto diede a me l’incarico di contattare le persone che avrebbero potuto ricordare episodi, frasi, particolarità, cosa che feci approfittando dei cinque mesi di permanenza in Australia un anno e mezzo fa. Ne venne fuori una raccolta assai vivace e interessante. Io non ho fatto altro che sistemare frasi ed episodi per temi, e presentare poi il testo a p.Benedetto, il quale poi ha fatto una prefazione iniziale. Egli ci teneva a poter presentare il libro in occasione 15° anniversario della morte del Padre (15 febbraio 2021), giorno che coincide con il passaggio del superiorato da lui a p.Agostino. In questo modo egli ha inteso anche rendere un omaggio al Padre in questo giorno importante per tutta la Comunità. Il libro è stato presentato quindi in quella occasione, ed è ora a disposizione. Inutile dire che si tratta di un testo che sarebbe bello tutti avessero, soprattutto coloro che non hanno conosciuto di persona don Divo Barsotti, perché “esce un po’ dalle righe” e ci presenta un Padre vivo, arguto, profondo, a tratti anche divertente o commovente. Se i santi si riconoscono “dalle sfumature”, come ebbe a dire uno scrittore spirituale francese, è importante per noi della Comunità leggere queste sfumature. Ne esce infatti un ritratto, godibile, brioso, sulla figura del Padre, e naturalmente inedito. Nel testo c’è un capitolo per esempio sul suo rapporto con i treni (!), uno sul suo modo di fare la spesa al mercato, uno sui viaggi improvvisati decisi alle cinque del mattino… e tanto altro ancora.
Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato, con i loro ricordi, alla stesura di questo testo.

p.Serafino

Divo Barsotti è nato a Palaia (PI) nel 1914. Nel 1946 nove anni dopo l’ordinazione sacerdotale, su invito di Giorgio La Pira si trasferì a Firenze, dove visse il suo ministero sacerdotale e approfondì la sua innata capacità di predicatore e scrittore.

Nel 1947 ha fondato la Comunità dei figli di Dio, che unisce laici e sacerdoti in una famiglia religiosa che, ispirandosi alla spiritualità monastica, impegna i propri membri a vivere la radicalità battesimale con i mezzi che sono propri della grande tradizione della Chiesa. Don Divo è tornato al Padre il 15 febbraio 2006 nella Casa Madre dedicata a San Sergio di Radonez, dove ha vissuto 50 anni, a Settignano, sulle pendici dei colli di Firenze.

In queste pagine sono raccolte alcune testimonianze di chi ha conosciuto don Divo. Se da un lato rivelano come in lui si percepiva la presenza di Dio, la forza dell’amore di Dio che animava ogni suo gesto e ogni sua parola, d’altro lato mostrano anche la sua dimensione umana, il suo carattere non facile, la sua personalità forte, ma soprattutto la sua umiltà. Le testimonianze raccolte suggeriscono che egli viveva realmente l’intimità con Dio, immerso “nella divina Presenza” anche nelle situazioni più quotidiane: i santi di ogni tempo erano realmente la sua famiglia e il Cielo la sua casa. Per dirla con le sue stesse parole, il Cielo tutto lui “lo portava nel sangue, lo portava nel cuore”, e sentiva di essere “la Chiesa”, come lo è ogni cristiano che apre il cuore al Mistero dell’amore. La santità non richiede doti eccezionali, ma, come don Divo ripeteva, un’apertura totale e incondizionata all’invasione di Dio. Ed è questo che può renderci tutti liberi ed eccezionali, come ha reso libero e davvero eccezionale don Divo Barsotti.

Commentari Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua – Anno B

È uscito il libretto con i commenti del Padre don Divo Barsotti alle letture della Quaresima dell’Anno B (quello in corso).

È stato stampato il Commentario alle letture del Triduo e del Tempo Pasquale da omelie del Padre, dell’Anno B.

Vivere alla/nella Divina Presenza

Subito dopo la costituzione della Delegazione Romagna-Marche (prima unita con la Famiglia Emilia Orientale) i responsabili organizzarono un incontro che fu tenuto a Lugo di Romagna, sede scelta per le Adunanze mensili. Il tema scelto fu quello della “Divina presenza” e furono chiamati tre relatori: il Vescovo emerito di Ravenna, mons. Giuseppe Verucchi, il Padre generale della Comunità, p.Benedetto, e il parroco di Lugo, don Gabriele Ghinassi. Tutti e tre affrontarono il tema da angolature diverse. A distanza di due anni, la Delegazione ha sentito il bisogno di raccogliere queste relazioni e metterle a disposizione della Comunità intera. Ne è venuto fuori un libretto di 78 pagine, che porta il titolo di Vivere alla/nella divina Presenza. Ringraziamo Lucia Gondolini, allora Delegata e Vincenzo Squeo, attuale Delegato, per il lavoro svolto e per l’approfondimento che hanno proposto su questo tema così importante e necessario per tutti i consacrati.