giovedì, Dicembre 07, 2023

La pena più grave (1984)

La Chiesa è la sposa e anche ciascuno di noi è la sposa, perché ciascuno di noi è tutta la Chiesa. Dice san Pier Damiani: In pluribus una, una in tutti, ma anche in singulis tota, tutta in ciascuno. Io sono tutta la Chiesa e ognuna di voi è tutta la Chiesa, nella misura in cui si realizza la nostra vocazione alla santità.

E che cosa vuol dire essere tutta la Chiesa? Che cosa dà l’umanità al Cristo? La morte, i peccati. Che cosa dà il Cristo a noi? La sua vita divina, il suo Spirito.

Che cosa dobbiamo portare al Cristo? Non solo il nostro peccato, ma il peccato di tutta l’umanità. Sentiamoci responsabili di tutto il peccato del mondo per offrirlo a Lui e ottenere per tutti misericordia e perdono. Quella misericordia che vogliamo per noi, non possiamo dividerla dalla misericordia che dobbiamo volere per gli altri, per tutti.

(…) Noi tutti dobbiamo sentirci impegnati a vivere questa corredenzione, assumendo sopra di noi, insieme a Gesù, il peso del peccato del mondo. Peso che Gesù in qualche modo riceve da noi, sia perché noi siamo peccatori in atto, sia perché anche il peccato che non abbiamo commesso è in certo modo nostro per il fatto che siamo una sola cosa con tutti. Non possiamo dividerci dagli altri. Pertanto è il peccato di tutti che, attraverso di noi, viene ad essere assunto dal Cristo.

Ecco che cosa vuol dire vivere la dimensione ecclesiale dell’Eucaristia: vuol dire vivere questa solidarietà col peccato umano.

È impressionante la preghiera di Gregorio di Narek in cui egli si accusa, per pagine e pagine, dei peccati più gravi: stupri, assassini, adulteri, sacrilegi innumerevoli. Si rimane senza fiato! Eppure non possiamo dividerci da alcuno. Divenendo la sposa del Cristo, per l’Eucaristia ognuno di noi diviene tutta l’umanità che Egli chiama di nuovo all’unione con Lui.

(…) È questa solidarietà che la Comunione deve sviluppare in noi dandoci il senso del peccato universale, per portarlo a Cristo, perché Lui lo vuole da ciascuno di noi. Dobbiamo sentirci coperti, oppressi dalla responsabilità del peccato universale, perché, in noi che Egli ama, questo peccato sia redento, sia cancellato e in noi Dio usi misericordia a tutti. Perché noi siamo tutti.

(…) Santa Teresa di Gesù Bambino, assumendo il peccato del suo tempo, l’incredulità, deve vivere l’angoscia terribile della mancanza di fede, quasi Dio non fosse più. Lei stessa dice infatti di non credere più. Usa proprio questa espressione. Certamente credeva, se no, chi la faceva stare lì, chi le faceva vivere quella vita di preghiera? Però era come se non credesse, tanta era la sua pena, tanta era l’angoscia. Il peccato del mondo gravava su di lei con i suoi effetti, col senso dell’irrealtà del mondo divino.

È la pena più grave che un’anima possa soffrire. Ma è proprio questa la purificazione che Dio oggi chiede alle anime. Santa Teresa di Gesù non l’ha conosciuta, e nemmeno san Giovanni della Croce, mentre santa Teresa di Gesù Bambino, vissuta in un tempo in cui l’incredulità avanza, deve vivere questo senso dell’assenza di Dio, questo senso della morte di Dio, per usare il linguaggio proprio di certa teologia moderna.

E anche voi, nella misura in cui vivete la vostra unione nuziale col Cristo, vivrete questo dramma perché il peccato del mondo deve pesare su di voi, non in quanto voi lo commettete, ma in quanto dovete portarne il castigo: l’abbandono del Padre. Sentirsi come sospese nel vuoto, sentire inutile, forse assurda, la propria vita è la pena che possono provare le anime religiose di oggi e che non provavano quelle di cento anni fa.

Chi ci farà resistere? (…) La grazia di Dio. Questa grazia farà vivere anche a voi la morte, perché l’unione col Cristo si realizza nella sua morte. Il talamo delle nozze con Lui è la Croce, nella quale ci si distende come Lui ci si è disteso. Forse non è troppo piacevole, però è così che si ama!

È in questa morte che veramente l’anima vive l’unione, perché è nella morte che si dona al Cristo quello che si è, quello che si ha. E il Cristo ci dona quello che Egli è: l’Amore.

Spiritualità carmelitana e sacramenti, II ediz., pp. 208-214